GIOVANNA CASADIO
La Repubblica 2 aprile 2015
«Non si può spostare l’asticella
sempre più in là così da non arrivare a un punto conclusivo. Sorge
il sospetto di una certa strumentalità...». Il vice segretario dem,
Lorenzo Guerini respinge le accuse di Pier Luigi Bersani e della
minoranza del partito.
Guerini, ci sono o no i numeri per
approvare definitivamente l’Italicum?
«I numeri ci sono. Lo abbiamo
dimostrato nei passaggi parlamentari precedenti quando tutti
scommettevano che non ce l’avremmo fatta. Invece i fatti hanno
dimostrato il contrario e il Pd ha tenuto, ha fatto il proprio
dovere. Lunedì scorso abbiamo affrontato una discussione seria nella
direzione del partito, ed è stata una tappa del confronto che si é
sviluppato nell’ultimo anno. Il responso è stato chiaro: il lungo
percorso dell’Italicum va chiuso».
In direzione Renzi ha sbattuto la porta
in faccia ai dissidenti.
«In direzione il segretario ha svolto
una relazione articolata nella quale ha riassunto tutto il percorso
compiuto eil dibattito che lo ha accompagnato. Il confronto in questi
mesi c’è stato ed è stato vero. Sono state accolte molte
questioni poste dalla minoranza. Il testo ora alla Camera è diverso
dall’Italicum originario».
Bersani ha detto che questo Italicum
non lo voterà, che potrebbe addirittura farsi sostituire in
commissione Affari costituzionali. Come si evita lo strappo?
«Non condivido le valutazioni di
Bersani e neppure il ragionamento politico che sta dietro le sue
parole: l’unità del Pd deve essere impegno di tutti ».
Ma soprattutto è compito di Renzi?
«Non solo. È compito del segretario
ma anche di tutto il Pd. L’unità è stata raggiunta per l’elezione
del presidente della Repubblica e infatti il Pd è riuscito dove
aveva fallito nel 2013. Sulla legge elettorale l’unità si
costruisce avendo memoria di tutto il percorso che c’è stato fin
qui, non spostando sempre l’asticella così da non arrivare a un
punto conclusivo ».
Bersani sbaglia quindi?
«Non capisco Pier Luigi, mi pare che
stia ponendo ostacoli lungo una strada di possibili convergenze
dentro il gruppo parlamentare. Ognuno di noi ha la sua legge
elettorale ideale, ma molti deputati, anche della minoranza,
considerano il testo in discussione condivisibile nel suo complesso e
nei suoi obiettivi di fondo: certezza del vincitore, governabilità,
minore frammentazione del sistema».
Sta dicendo che l’ex segretario è
piuttosto solo?
«Il nostro lavoro non vuole isolare
nessuno, ma costruire consensi ampi dentro il Pd e in Parlamento».
La sinistra dem minaccia la scissione?
«Il termine scissione non deve avere
cittadinanza nel Pd. Non è neppure un sentimento dei nostri
militanti e elettori che ci chiedono di essere uniti e all’altezza
della responsabilità che ci hanno affidato».
Renzi metterà la fiducia?
«È un tema prematuro. Nessuno chiede
fedeltà a un leader, ma lealtà verso gli elettori nei cui confronti
abbiamo preso tutti un impegno solenne».
Ma ci sono margini per una trattativa?
«Io credo di no. Siamo arrivati alla
stretta decisiva di un percorso fatto insieme, ascoltandoci e
accogliendo le proposte di miglioramento della legge che ci hanno
portato fin qui. Ulteriori cambiamenti significherebbero allungare
ancora i tempi allontanandoci dall’obiettivo, che oggi è alla
nostra portata. L’Italicum funziona ».
I dissensi li considera strumentali?
«Non è che se si cambiano alcuni
aspetti, una legge elettorale dipinta come un attentato alla
democrazia, diventa votabile ». Sorge il sospetto di una certa
strumentalità. Ma se ciascuno di noi si soffermasse a riflettere con
oggettività sul cammino percorso e sul lavoro svolto, non farebbe
fatica a riconoscere le ragioni per una convergenza».
Il governo ha paura di un inciampo al
Senato?
«No».
Il Pd di Renzi perderà pezzi?
«Assolutamente no. E non credo sia
nelle intenzioni di nessuno. L’Italia ci chiede di cambiare e c’è
bisogno dell’impegno, delle idee e dell’esperienza di tutti, di
coloro che in questi anni lo hanno voluto e anche di quelli che ora
ci guardano con attenzione e speranza».
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