Corriere della Sera 16/03/15
Gian Antonio Stella
Cadono le braccia a vedere i travagli
del governo, della maggioranza, delle Camere, nel portare finalmente
in porto la legge anti-corruzione. Mille volte promessa, mille volte
rinviata. Mese dopo mese. Settimana dopo settimana. Un tormentone.
Che vede improvvisi scoppi di frenesia («subito in Aula!») a ogni
ondata di arresti per l’Expo, il Mose, la mafia alla vaccinara... E
nuove pennichelle parlamentari appena ogni scandalo va in ammollo.
Ammollo che ha finito per scandalizzare anche il presidente del
Senato Pietro Grasso, nonostante ben conosca tempi, riti e
liturgie.
Eppure la guerra ai «devoti della dea tangente» che
«portano a casa pane sporco», per dirla con papa Francesco, non è
(solo) un problema etico. Lo ha recentemente ripetuto l’ambasciatore
a Roma John Phillips: «A causa della lentezza della giustizia civile
e della corruzione», il valore degli investimenti diretti degli
Stati Uniti da noi «è meno della metà di quelli in Francia e un
quarto di quelli in Germania». L’Italia è dietro Belgio, Spagna,
Svezia e Norvegia. Nonostante sia la seconda economia manifatturiera
europea.
Una bacchettata non nuova. Nella scia della strigliata,
anni fa, dell’allorambasciatore Ronald P. Spogli, che cercò invano
di spiegare l’importanza delle regole. Per non dire della denuncia
del Censis sul crollo del 58% degli investimenti esteri. E
dell’ultimo atto d’accusa del governatore Ignazio Visco sul
«deficit di reputazione» che ci sarebbe costato in pochi anni oltre
16 miliardi. Quattro volte l’Imu sulla prima casa.
La Banca
Mondiale, come ha ricordato il Sole 24 Ore , lo ha detto più volte:
una vera guerra alla corruzione «efficacemente aggredita porterebbe
a un aumento del reddito superiore al 2,4% con effetti benefici anche
sulle imprese che crescerebbero del 3% annuo in più». E Dio sa
quanto ci servirebbe.
Tesi ribadita dall’economista Alfredo
Del Monte su lavoce.info : «La corruzione influisce sulle principali
variabili che determinano il livello del debito». Esempio? «Tende a
far crescere i livelli di spesa pubblica a causa del maggior costo
dei servizi e beni acquistati». Sarà un caso se le spese correnti
dello Stato, come spiegava ieri una tabella della Cgia di Mestre,
sono cresciute negli ultimi quattro anni (a dispetto di tutti gli
sforzi e i sacrifici fatti dagli italiani) di 27,4 miliardi?
Ma
le ascoltano, lassù, le relazioni dei procuratori regionali della
Corte dei conti? «Assistiamo oggi a un incontrollato aumento della
corruzione a tutti i livelli e verifichiamo un’evasione fiscale
che, nonostante gli sforzi per combatterla, costituisce un dato di
fatto incontestabile e dalle dimensioni allarmanti», ha detto giorni
fa il presidente dei giudici contabili piemontesi Giovanni Coppola. E
un po’ tutti, dal Veneto alla Calabria, hanno ripetuto la stessa
identica cosa.
Il tutto a conferma dei dati di Transparency:
restiamo sessantanovesimi (vergogna...) nella classifica dei Paesi
più virtuosi ma il miglioramento di chi ci stava dietro come la
Bulgaria e la Grecia fa sì che in Europa diventiamo ultimi.
Una
deriva angosciante. Avvenuta soprattutto, piaccia o no a certe comari
del garantismo peloso, negli anni successivi a Tangentopoli. Quando
si passò dal delirio spiritato per Tonino Di Pietro alla quotidiana
demolizione dell’impianto repressivo. I numeri dicono che tra il
‘96 e il 2006, secondo l’Alto Commissariato per la lotta alla
Corruzione (poi sciolto nel 2008), le condanne per corruzione
precipitarono da 1.159 a 186, quelle per concussione da 555 a 56,
quelle per abuso d’atti d’ufficio da 1.305 a 45 e così
via...
Un alleggerimento sul fronte di corrotti e corruttori che
ha portato ai dati che già i lettori del Corriere conoscono: abbiamo
un decimo dei «colletti bianchi» mediamente detenuti nelle altre
carceri europee e un trentacinquesimo di quelli imprigionati in
Germania.
Possiamo, in questo contesto, accettare nuovi rinvii
di norme tanto attese? E non ci provino, a tirar fuori una
legge-pannicello spacciandola per qualcosa di serio. La guerra contro
un cancro qual è la corruzione richiede proprio quella durezza che
pare imbarazzare una parte del mondo politico. Sarebbe difficile
spiegare ai cittadini, ad esempio, perché l’agente sotto
copertura, mandato a smascherare i delinquenti, possa essere usato
per spacciatori, terroristi, trafficanti d’armi, criminali
organizzati e pedofili ma non per i corrotti. Come se far sparire
alcune decine di miliardi l’anno fosse un reato minore...
Nessun commento:
Posta un commento