Corriere della Sera 15/03/15
Daniele Manca
Giorgio Squinzi pessimista non lo è
mai stato. Da imprenditore persino nel maggio del 2012, diventando
presidente della Confindustria, sapeva che il compito non sarebbe
stato facile ma che l’Italia avrebbe potuto farcela. L’argine di
Draghi per salvare l’euro non era stato ancora costruito e il
nostro Paese combatteva per tornare a essere ritenuto un partner
affidabile in Europa. «Oggi è difficile non guardare con positività
al futuro — dice Squinzi —. Il rapporto tra dollaro ed euro è
mutato e ci avvantaggia, il prezzo delle materie prime è favorevole,
i Paesi emergenti continuano nella loro corsa e questo ha impatti
positivi sulla crescita. E poi c’è Expo che può rappresentare
davvero il punto di svolta per il nostro Paese sia come vetrina di
ciò che sappiamo fare sia come motore di nuove opportunità. Ci
credo molto e saremo presenti con una mostra dedicata
all’alimentazione industriale sostenibile».
Anche il governo
ci ha messo del suo, il Jobs act ha abbattuto un tabù più che
ventennale, è stata avviata la riforma del Titolo V che decentrava i
poteri dello Stato e che nel suo discorso di insediamento era stata
individuato come uno dei freni allo sviluppo…
«Lei ha usato una
parola importante: avviata – spiega ancora Squinzi nei suoi uffici
milanesi tra le bandiere del Sassuolo, la squadra di calcio sua
passione, e quelle del Milan del quale è tifoso —. Ecco il quadro
è sicuramente cambiato e in dodici mesi si sono fatte molte cose e
ancora di più ne sono state annunciate. Il problema è proprio
questo: devono essere attuate. Il compito è pesante lo so. Ma
attenzione a sperare che sia qualcun altro a trainarci verso la
ripresa».
Proprio lei non sarà mica pessimista, ha previsto la
ripresa in questo primo trimestre.
«Certo che no. Molti settori
annusano la ripresa. Ma un conto è non essere in recessione un conto
è avere una buona crescita attorno al 2%. Sarà stata questione di
calendario ma a gennaio la produzione industriale si è fermata, e
non sarà un più 0,2% a febbraio a poterci fare dire che c’è la
svolta. I segnali che ho da imprenditore sono incerti».
Mi pare
che continuiate a fare utili però.
«Non parlo della mia azienda
ma del mio settore, l’edilizia: abbiamo perso il 60% dell’attività
che avevamo nel 2007».
E il governo che c’entra? Il mercato è
fermo.
«Lei dimentica che in questi anni tra Ici, Imu, Tasi, Tari
e imposte locali, l’edilizia è stata più che tartassata. La crisi
ha influito ma il messaggio è stato chiaro: il mattone finanzia lo
Stato. Senza edilizia e infrastrutture è difficile che l’economia
possa riprendersi con un buon passo».
Non si può continuare a
cementificare…
«Ma quale cementificare? Qui si parla di edilizia
abitativa, di infrastrutture senza le quali il Paese non è in grado
di muoversi. Si parla di investimenti per riparare al dissesto
geologico e sismico dei quali ci ricordiamo solo quando ci sono le
tragedie. Non può bastare solo il piano sui porti, pur
meritevole».
Sì, ma chi ci mette i soldi?
«Lo Stato dove
può, altrimenti si utilizzino formule di pubblico e privato. Ci sono
tanti privati italiani ed esteri pronti a investire».
Ci sta
dicendo che è finita la stretta sul credito?
«Per molte aziende
non c’è mai stata. Per le altre è stata drammatica e resta ancora
difficile. Per questo si deve andare avanti con le riforme. Dare
certezze agli imprenditori e, soprattutto, non avere pregiudizi verso
chi fa impresa».
A dire il vero Renzi di fabbriche ne ha girate
parecchie e più con gli imprenditori che con i
lavoratori.
«L’attenzione del primo ministro è innegabile e
gliene siamo grati. Mi fa piacere che si sia convinto che non c’è
ripresa senza impresa. Anzi, ha avviato molti processi positivi,
smuovendo nel nostro Paese situazioni bloccate da un quarto di
secolo, onore al merito. Ma altra cosa è attuare ciò che si dice e
le riforme. Dobbiamo evitare di rimanere al 49esimo posto nella
classifica mondiale della competitività».
Dietro questa parola
«riforme» spesso non c’è nulla…
«No, ci sono cose molto
concrete che, per usare una metafora ciclistica, ci fanno correre con
due pietre nella maglietta e altre rischiano di caricarcene».
Però
ci faccia degli esempi veri …
«Il primo: le norme sui reati
ambientali. Se passasse l’impostazione attuale che non distingue
tra chi ha un incidente e si attiva subito per riparare e chi inquina
per scelta criminale, è come affermare che gli imprenditori sono
malfattori per definizione. Ma chi verrebbe a investire in Italia
sapendo che rischia una sanzione penale in caso di incidente al quale
ha subito posto rimedio?».
E il secondo caso?
« Il falso in
bilancio. Anche qui: per quale motivo non si distingue tra errore e
dolo, vogliamo dare ai magistrati la licenza di uccidere le
imprese?».
Temete la magistratura?
«Il contrario: non solo
non abbiamo nulla contro la magistratura, ma voglio vivere in un
Paese dove la certezza del diritto è la regola. Leggi chiare e poco
discrezionali avvantaggerebbero per primi i magistrati che le devono
applicare. Come vede le riforme sono cose concrete. E se vuole vado
avanti con la delega fiscale …».
Tutto questo sempre che il
Parlamento permetta.
«Lo so bene che spesso si fanno decreti
perché le due Camere da formula di garanzia sono diventate una sorta
di alibi per chi non vuole cambiare. Ma sarebbe un errore e forse
qualcosa di ancora più grave non sfruttare la situazione
generale».
Si riferisce alle misure di Draghi?
«Ma sì. Il
“quantitative easing” di Draghi ha dimostrato che pensando
all’Europa come una cosa sola e non come una sommatoria di Paesi si
possa agire per il bene comune».
A dire il vero la Germania
vorrebbe che gli stimoli economici si fermassero subito.
«E ci
credo: loro hanno già tassi a zero, pensi al vantaggio competitivo
di un’azienda tedesca nei confronti di un’impresa italiana che
chiede un prestito alla banca. Per questo mi sembra poco lucido chi
pensa di uscire dall’euro».
A chi si riferisce? Salvini,
Grillo?
«A quelli che vogliono uscire dall’euro. Abbiamo stimato
che se accadesse, il prodotto interno lordo la ricchezza che
produciamo si ridurrebbe di colpo del 30%. Serve più Europa non meno
Europa».
Ma anche voi vi lamentate della burocrazia
europea.
«Certo, più Europa non significa regole minuziose e
invadenti, ma per esempio livelli fiscali comuni. Mi spiega perché
una mia azienda in Italia deve avere una pressione fiscale del 55% e
in Polonia la stessa azienda del 19%?».
Me lo dica lei.
«Perché
la politica di Draghi ha in mente l’Europa, molti altri leader
europei no. Il semestre italiano ha mostrato che si poteva passare da
una direzione orientata al mero rigore e all’amministrazione
contabile a una bussola più orientata alla crescita. Sarebbe
autolesivo non sfruttassimo questo quadro positivo».
Mi pare
prevalgono i timori sul futuro…
«Tutt’altro. Siamo la quinta
potenza industriale e l’ottava economia al mondo. Lo siamo
diventati senza materie prime e risorse energetiche ma solo grazie
alla materia grigia che per fortuna non manca nella testa degli
italiani, dei lavoratori e degli imprenditori. Anche la tanto
bistrattata formazione è tutt’altro che cattiva. Non ho problemi a
dirlo chiaramente: quando assumo nelle mie aziende, a parità di
laurea tra un italiano, un francese o un tedesco scelgo sicuramente
l’italiano o l’italiana, e non per nazionalismo» .
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