Corriere della Sera 28/03/15
Francesco Verderami
Correranno insieme, ma finora non si
sono mai fatti vedere insieme. Berlusconi e Salvini sembrano alleati
a loro insaputa.
È una trovata elettorale? Un esperimento
politico? Di sicuro non è una novità. Quando Monti scese in campo
con Scelta civica, si negò persino alla foto con Fini e con Casini.
Tutti sapevano cosa pensasse a quei tempi il professore dei suoi
compagni di strada (ricambiato), e tutti sanno cosa pensano oggi
l’uno dell’altro il leader di Forza Italia e il segretario della
Lega. Per Berlusconi «Salvini è un problema». Per Salvini
«Berlusconi è cotto». Tuttavia troveranno un’intesa in vista
delle Regionali, sebbene proprio l’ossessione di vedersi come
carbonari, di smentire incontri realmente avvenuti, di scivolare via
dai luoghi dove sono stati appena colti insieme, rende manifesta la
distanza tra i due. Anche ieri, appena si è sparsa la voce di un
loro rendez vous serale, in tanti si sono affannati a spiegare che
non era vero. Quasi a voler preservare entrambi dall’idea di una
possibile mescolanza.
C’era una volta il centrodestra, oggi
non c’è nemmeno una posa sorridente da offrire alla stampa.
D’altronde non c’è sorriso sul volto di Berlusconi, che impreca
all’oltraggiosa fortuna riservatagli dagli eventi, e deve convivere
con gli sbalzi d’umore. Infatti non è per farsi desiderare se
prende tempo quando lo invitano alle manifestazioni: «Purtroppo ho
la febbre», ripeteva ancora ieri sera. Nel 2006 aveva il colpo della
strega, eppure alla fine andò a Vicenza a sfidare i vertici di
Confindustria, e il suo famoso balzo sulla sedia mandò in visibilio
la platea degli imprenditori. Fu l’inizio di una clamorosa rimonta
elettorale su Prodi, quasi completata. «Lasciatelo in pace
quell’uomo», replica ogni volta in sua difesa Confalonieri, a chi
gli chiede che l’amico faccia un altro scatto.
Lo specchio
magico che Berlusconi aveva costruito, e in cui ogni giorno si
rimirava per sentirsi dire che era il più forte, si è frantumato. E
oggi sono in tanti a specchiarsi in quei mille frammenti, pensando di
poter ascoltare di se stessi la stessa cosa. Nella sede di Forza
Italia non c’è nemmeno più il centralinista, nei gruppi di Forza
Italia si attende una nuova diaspora. Resta da capire — e non è
cosa da poco — se sono i parlamentari a volersene andare o se è il
leader che se ne vuole andare. Con Fitto, per esempio, il capo fa
mostra di volerlo «fuori dalle scatole», così ha detto: «Per i
suoi candidati assicuriamo dei posti alle Regionali. Si accontenti,
se crede».
È una mossa dettata da un disegno o un segno di
sconforto? E siccome Berlusconi resta (ancora) Berlusconi, i
dirigenti azzurri continuano ad analizzare i suoi comportamenti, come
un tempo: forse vuol costringere Fitto a rompere per farlo contare
nelle urne, addebitargli le cause della sconfitta alle elezioni, e
non permettergli di lucrare dall’interno del partito sul (quasi
certo) risultato negativo di Forza Italia. Quanto al possibile gruppo
autonomo di Verdini, c’è chi la considera una diabolica trovata,
per mantenersi un tramite con Renzi e un surrogato del vecchio patto
nazareno. «Ma se si fanno andar via tutti questi parlamentari, poi
chi rimane?», si è domandato Romani, chiedendo urgentemente udienza
al capo.
Per il capo vige oggi il motto «meglio pochi ma
fedeli», e tra quei pochi c’è la Carfagna, che Berlusconi medita
di porre al vertice del partito per offrire il segno tangibile del
cambio generazionale. Si vedrà se il visionario avrà una nuova
visione, e cosa ne sarà — per esempio — del rapporto con il
Partito popolare europeo che Tajani riunisce nella capitale per
discutere sulla «capacità di aggregare» del centrodestra italiano.
Per il momento è in atto un processo di scomposizione. È vero, da
qualche parte bisogna pur ricominciare, il punto è che molti si
ritrovano dopo essersi appena divisi. Al centro Ncd e Udc — pronti
a fondersi in Area popolare — discutono con Tosi, che ha appena
divorziato da Salvini, su come costruire un rassemblement di
moderati, mentre la destra che fu An riunisce oggi dieci sigle a
discutere di «Terza Repubblica»...
La verità è che Renzi li
ha fatti tutti prigionieri, e la politica è stremata al punto tale
che, con la sola voce contraria di Brunetta, al premier è consentito
«meditare» — senza che la cosa meni tanto scandalo — se porre o
meno la fiducia in Parlamento addirittura sulla legge elettorale.
«L’avessi detto io, sarebbe scoppiata la guerra mondiale», dice
Berlusconi. È vero, ma il premier gli ha strappato le sue parole
d’ordine: ha portato il suo Pd a sinistra con l’ingresso nel Pse,
e ha spostato a destra il suo governo con il Jobs act, la
responsabilità civile dei magistrati e ora pure con la riforma delle
intercettazioni.
Al leader di Forza Italia non resta che
aggrapparsi a Salvini, che ancora ieri però lo insolentiva: «Chi mi
ama mi segua». Ed è chiaro a cosa miri il segretario del Carroccio,
ed è per questo che agli occhi di Berlusconi resta insopportabile.
Perciò finora non si sono mai fatti vedere insieme, anche se
correranno insieme: alleati a loro insaputa.
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