Corriere della Sera del 11/03/15
Massimo Gaggi
Indegno, mai visto niente di simile nei
36 anni che ho passato al Senato: le parole durissime del
vicepresidente Joe Biden riflettono l’umore furibondo della Casa
Bianca per la lettera aperta che 47 senatori repubblicani hanno
inviato al regime di Teheran con l’obiettivo esplicito di far
fallire i negoziati Usa-Iran sul nucleare. Per loro Obama non può
siglare accordi non concordati con le Camere. Falso, replica Biden:
quando Nixon riconobbe la Cina e poi per la fine della guerra in
Vietnam e il rilascio degli ostaggi detenuti in Iran, l’America ha
preso impegni senza un voto del Congresso. Ma è di inaudita violenza
anche la replica da destra: i veti incrociati che bloccano da anni la
politica interna Usa rischiano ora di paralizzare anche le iniziative
internazionali di Washington.
Sono anni che i repubblicani
costringono la Casa Bianca a combattere una guerra di trincea su
tutte le questioni interne, a cominciare dalla riforma sanitaria che
la destra ha cercato di bloccare in ogni modo anche dopo la sua
attuazione: interventi del Congresso, dei governatori dei singoli
Stati e anche dei magistrati conservatori.
Sulla politica
estera, però, Barack Obama ha sempre goduto di maggiore autonomia
sia perché quella della sicurezza nazionale è una responsabilità
ampiamente affidata, nel sistema costituzionale Usa, alla presidenza,
sia perché almeno a livello internazionale la superpotenza ha
cercato, almeno fino a due anni fa, di mostrarsi compatta.
Le
cose sono cambiate col ritiro Usa da Iraq e Afghanistan, le
incertezze di Barack Obama nella crisi siriana, l’emergere della
minaccia dello Stato islamico e, soprattutto, col negoziato con
l’Iran sul nucleare che, secondo i conservatori, rischia di
consentire a Teheran di dotarsi, tra qualche anno, di armi atomiche:
una trattativa condivisa dalle capitali occidentali, dalla Russia e
dalla Cina, ma avversata, oltre che dai Paesi arabi sunniti, dal
governo israeliano di Benjamin Netanyahu che parla di minaccia
mortale.
Una lettera davvero illegittima e senza precedenti,
quella dei 47 senatori? In realtà, come detto, i repubblicani da
tempo hanno messo in piedi una sorta di diplomazia parallela a quella
della Casa Bianca: basti pensare ai tanti viaggi di John McCain in
Medio Oriente per cercare di aiutare i ribelli siriani anti-Assad che
la Casa Bianca, pur ostile al dittatore di Damasco, non ha mai voluto
armare.
Ma gli atti clamorosi delle ultime settimane — prima
l’invito a Netanyahu a parlare davanti al Congresso all’insaputa
del presidente degli Stati Uniti, poi la lettera mirante a far
fallire un negoziato internazionale — rappresentano di certo un
salto di qualità inquietante.
Senza precedenti? Su questo i
pareri possono divergere. I repubblicani, ad esempio, ricordano che
nel 2006, riconquistata la Camera, la speaker democratica Nancy
Pelosi promise di costringere il presidente Bush a ritirare le truppe
dall’Iraq. L’anno dopo Pelosi — sarcasticamente chiamata dai
conservatori «general Pelosi» — andò, contro la volontà della
Casa Bianca, a Damasco a negoziare con Assad (che allora i
democratici volevano coinvolgere in una soluzione per l’Iraq,
mentre Bush lo voleva isolare).
Ci sono anche altri precedenti,
dal conflitto del Kosovo (il Congresso vietò a Bill Clinton di
mettere truppe in campo) al blocco degli aiuti di Reagan ai Contras
in Nicaragua (un voto parlamentare del 1987, aggirato dal governo di
allora con atti che portarono allo scandalo Iran-Contra).
La
differenza, stavolta, è che la lettera, più che a incidere su un
negoziato specifico, sembra destinata, col suo linguaggio che trasuda
disprezzo nei confronti del presidente, a minare il ruolo della Casa
Bianca in una fase diplomatica delicatissima.
Un precedente
assai grave per la credibilità negoziale degli Usa, già messa in
dubbio in altre trattative recenti come quelle per gli accordi di
libero scambio.
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