Corriere della Sera 14/08/15
Tommaso Labate
«Prima le faccio una premessa. Nessuno
deve permettersi di parlare di “scambio”».
Premessa fatta.
«Una volta chiarito questo, se Matteo Renzi è disposto a discutere
con noi in modo serio di una riforma della giustizia, noi ci siamo. E
ci saremmo anche se le sue risposte sulla riforma del Senato non
fossero quelle che noi vogliamo».
Giovanni Toti, governatore
della Liguria e consigliere politico di Silvio Berlusconi, sta
facendo su e giù in macchina per la Liguria per tenere sotto
controllo l’emergenza dei profughi a Ventimiglia. Durante uno
spostamento in macchina, «e ci sono cinquanta gradi», parla del
rischio caduta del governo Renzi e dell’attacco dei vescovi a
Palazzo Chigi, delle ragioni di Matteo Salvini sull’immigrazione e
del caos sul Senato. Partendo da là, da quel dossier «giustizia»
di cui si parla tanto tra gli ambasciatori di Pd e Forza Italia.
Toti, che cosa vuol dire discutere sulla giustizia «in modo serio»?
«Separazione delle carriere dei giudici, con l’istituzione di
un doppio consiglio superiore, uno per chi giudica l’altro per chi
indaga. Poi, limitazione all’uso della carcerazione preventiva. E
ancora, fermare i continui abusi sulle intercettazioni. Ribadisco, se
Renzi vuole mettere mano a una riforma seria della giustizia, Forza
Italia è già pronta. Abbiamo detto mille volte che, se si fanno le
cose seriamente e non si stravolgono le riforme nel chiuso di una
stanza, noi siamo un’opposizione responsabile».
Secondo lei,
il governo Renzi rischia di non arrivare all’anno prossimo, come
sostiene Salvini?
«Lo vedo molto traballante in Senato. E credo
che anche Renzi stia iniziando a fare i conti con questa realtà.
Detto questo, non è soltanto una questione di numeri. Riforme come
quelle della costituzione, come la legge elettorale, e anche come
quella della giustizia, non le puoi fare raccattando consensi nel
bidone del peggior trasformismo della Prima Repubblica…».
Si
riferisce al soccorso dei verdiniani?
«Mi riferisco al fatto che
Renzi non può ergersi a uomo nuovo e poi fare come nelle peggiori
democrazie. Che ha fatto finora il premier in Senato? Ha litigato con
la sinistra del suo partito e ha provato a blindarsi con numeri che
gli arrivano dai peggiori trasformisti all’italiana. Questa è la
realtà».
L’attacco della Chiesa sull’immigrazione è una
spia della debolezza del governo?
«Su questo ho altre idee…».
Anche lei, come Salvini, pensa che il capo dei vescovi Galantino
sia un «comunista»?
«Se è comunista non lo so. Dico però che
se si fosse risparmiato le uscite infelici avrebbe fatto il bene di
tutti».
Quindi, nello scontro Chiesa-governo, lei difende
governo?
«No. Gliela spiego così. La Chiesa deve fare la Chiesa
lasciando che la politica faccia la politica. Sono due mestieri
diversi. La prima è un’eccellenza morale, la seconda rappresenta
l’arte del possibile».
E qual è «il possibile»
sull’immigrazione?
«Controllo dei flussi migratori, protezione
delle frontiere, espulsioni dei clandestini. Mi spiega perché
ricette adottate nelle democrazie più apprezzate da noi debbano
essere bollate come xenofobe? Mi spiega perché paesi come
l’Australia e gli Stati Uniti si muovono seguendo queste direttrici
e noi no? Salvini, sul punto, ha ragione. E a Galantino dico un’altra
cosa. Se San Martino, invece che in due, avesse diviso il suo
mantello in mille brandelli, non solo non avrebbe salvato mille
persone dal freddo. Ma sarebbero morti anche lui e l’altro».
Quindi?
«Quindi va bene, anzi benissimo, la carità della
Chiesa. Ma la politica ha un altro compito. Deve saperla legare alla
concretezza, al massimo di quello che si può fare. E noi, come
Italia, abbiamo un problema grosso con risorse molto scarse per
fronteggiarlo».
Non dica che anche lei vede nell’attacco della
Chiesa lo stesso canovaccio di quando i vescovi presero di mira
l’allora governo Berlusconi.
«Non lo so, lascerei perdere mani
e manine. E concentriamoci sulla realtà».
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