Corriere della Sera 28/08/15
Angelo Panebianco
Sono le tasse dunque il terreno
politico
ed elettorale che Renzi ha scelto per affrontare i suoi
avversari. Se riuscirà ad abbassarle sensibilmente consoliderà la
sua leadership alla testa di una sinistra radicalmente rinnovata,
forse capace anche di attrarre ampie porzioni di quelle classi medie
indipendenti (imprenditori, professionisti, commercianti, artigiani)
tradizionalmente ostili alla sinistra. Sulle spalle del ministro
dell’Economia Pier Carlo Padoan, soprattutto, ricadrà l’arduo
compito di reperire le risorse necessarie. Ma sbaglia chi crede che
in gioco ci sia solo una questione di risorse. Più delle riforme
istituzionali, forse anche più della scuola, le tasse toccano il
cuore identitario della sinistra per come l’abbiamo conosciuta. La
promessa di abbassarle coincide con la più grave minaccia a quella
identità. Apparentemente, ciò accade solo per la nota ragione
secondo cui, finito il comunismo, azzerati i grandi ideali, morta
l’utopia, la sinistra si era ridotta,
sotto il profilo
identitario,
a due cose: l’ideologia
liberal (i vari temi del
«politicamente corretto» — gender e così via — interpretati
come diritti civili) e l’imperativo del «tassa e spendi»
rivendicato come garanzia di ridistribuzione del reddito e di equità
sociale. Renzi, sulle orme di Tony Blair, e pur con tutti gli
adattamenti a un caso assai diverso da quello britannico, promette di
preservare, e di cavalcare, l’ideologia liberal ma anche di mettere
fuori gioco l’imperativo del tassa e spendi, il piatto forte, il
cuore identitario.
P uò essere tutto meno che
un’operazione indolore. Anche perché al di sotto del principio del
tassa e spendi c’è una visione del mondo, così radicata e
incistata che molti non ne sembrano nemmeno consapevoli. Quando il
segretario della Cgil Susanna Camusso (sul Corriere del 24 agosto)
propone di abbassare l’età pensionabile, mandare prima le persone
in pensione per lasciare i loro posti ai giovani, sta precisamente
parlando a coloro che condividono una particolare visione del mondo,
una visione che apprezza le società statiche, per non dire immobili,
che teme il dinamismo e l’innovazione più di ogni altra cosa. Chi
attribuisce valore al dinamismo sociale, chi pensa che la continua
innovazione caratterizzi le società davvero vitali, punta ad
ampliare, attraverso la crescita economica (a sua volta effetto della
libertà di innovare e della presenza di diffuse capacità
imprenditoriali), oltre alla ricchezza, anche la base occupazionale
disponibile.
Invece, chi ha fatto proprio l’ideale di una
società statica pensa sia alla ricchezza che al lavoro come a giochi
a somma zero: si deve togliere più soldi all’uno (il più ricco)
per darli all’altro (il più povero), si deve mandare in pensione
Tizio (il più anziano) per lasciare il posto a Caio (il più
giovane). Non si tratta mai di ampliare la torta ma di mantenerla
inalterata tagliando diversamente le fette.
È questa mentalità,
propria di tanti, una parte dei quali nemmeno è consapevole di
averla, che sta dietro all’imperativo del tassa e spendi e, quindi,
all’identità di una parte rilevante della sinistra. È questa
mentalità che alimenta l’ideale di una società composta
prevalentemente da impiegati pubblici, e nella quale il mercato sia
tenuto a bada, al suo posto, in condizioni di non nuocere, di non
dare libero sfogo ai suoi impulsi più «eversivi» e aggressivi:
poiché è proprio del mercato di essere la principale fonte
dell’innovazione e del dinamismo sociale.
Esattamente ciò che
da sempre la sinistra esorcizza bollandolo come «liberismo
selvaggio». Si capisce perché gli antirenziani di sinistra odino
tanto Renzi: sta aggredendo, e forse distruggendo, un pezzo alla
volta, il loro universo simbolico, il loro piccolo mondo statico.
Forse ha anche capito meglio di loro che cosa è successo negli
stessi strati sociali che sono stati per decenni il tradizionale
serbatoio elettorale della sinistra: lì, ad esempio, ci sono persone
di estrazione popolare (con la casa di proprietà) sempre meno
disponibili a prendere per buona l’ideologia del tassa e spendi e
ciò che essa sottintende. Se queste persone risulteranno essere
molte la scommessa di Renzi verrà forse vinta.
Per completezza
di discorso, bisogna aggiungere che l’ideale di una società
statica non è proprio soltanto della sinistra. C’è in Italia, da
sempre, anche una destra antimercato e corporativa che ha ugualmente
paura del dinamismo sociale: a differenza della sinistra, tuttavia,
questa destra, per lo più, non ha fatto delle tasse alte una
bandiera identitaria.
Se ciò che qui è stato detto è corretto
allora Renzi, per abbassare le tasse, non dovrà solo procurarsi le
risorse. Dovrà combattere, e sconfiggere, una radicata e diffusa
mentalità. L’impresa, a occhio, si presenta più difficile e
complicata di quella in cui è impegnato, poniamo, chi vuole soltanto
riformare una Costituzione .
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