Corriere della Sera 10/08/15
corriere.it
Elenca i libri che ha voluto portarsi
in vacanza nella casa di Palermo, ieri pomeriggio, con il desiderio
di sentirsi finalmente sciolto dalle preoccupazioni del Palazzo anche
grazie alla «felicità della lettura». Lo ascolti, e ti viene da
pensare che Sergio Mattarella in fondo segue la prassi psicoanalitica
del «regredire per progredire». Cerca cioè di «recuperare alla
piena luce della coscienza» — era Proust a usare questa metafora —
gli eventi e le emozioni dentro le quali è cresciuto, nello sforzo
di «tenere sempre al centro l’uomo e la libertà». Volumi i cui
temi un po’ rispecchiano il suo stato di famiglia: culturale,
politico e morale.
«Ne ho preparati diversi, di vario genere, da
mettere in valigia… Narrativa, storia, saggistica», dice il
presidente. «Tra gli altri Il tempo migliore della nostra vita , di
Antonio Scurati, e Possa il mio sangue servire , di Aldo Cazzullo. E
poi l’ultima fatica da biblista di Enzo Bianchi, Raccontare l’amore
».
Sono, come si vede, libri utili a rievocare il passato
(specie quello prossimo) per immaginare il futuro, sperando che sia
migliore. Insomma: tutto si tiene, in quei volumi, di certi tratti
identitari del presidente della Repubblica. Indizi decisivi per
capire come ragiona, si esprime, agisce.
Succede se si riflette
sul racconto, scritto da Scurati, del rifiuto di Leone Ginzburg a
prestare il giuramento di fedeltà al fascismo, l’8 gennaio 1934:
il «no» coraggioso e raro (infatti, a fare la stessa scelta furono
soltanto 13 docenti universitari su 1.300) di un combattente giovane
e mite, divenuto eroe della Resistenza quasi suo malgrado, visto che
non imbracciò mai un’arma. Sullo stesso registro si colloca il
libro di Cazzullo, concepito per dimostrare, tra ignote microstorie e
grandi memorie consegnate all’ufficialità, che la lotta di
liberazione è stata un patrimonio nazionale, senza che nessuno possa
accampare pretese egemoniche. Mentre la riflessione di Bianchi,
priore del monastero di Bose, traccia un’inedita strada per
riscoprire il messaggio d’amore di Gesù attraverso quattro famose
parabole evangeliche.
Ma c’è un altro volume che Mattarella ha
ripreso dagli scaffali, ed è pieno di vecchie sottolineature e
appunti: La crisi della civiltà di Johan Huizinga, lo storico
olandese stroncato dalla prigionia nei campi tedeschi e che fu tra i
primi a coltivare cupi presentimenti sulla decadenza dell’Occidente.
Spiega il capo dello Stato: «È un contributo fondamentale alla
civiltà europea, tradotto in italiano personalmente da Luigi
Einaudi. L’ho letto per la prima volta più di cinquant’anni fa.
Ne posseggo un’edizione del 1938, acquistata allora da mio padre.
Lo sto rileggendo adesso e scopro che, nonostante sia passato quasi
un secolo, le analisi e gli allarmi che contiene sono attualissimi.
Ad esempio la denuncia del rischio di far prevalere le suggestioni
provocate da interesse o da desideri sul giudizio critico basato
sulla conoscenza dei fatti».
Ecco la sua maniera di tornare ai
momenti fondanti della democrazia europea e della nostra stessa Carta
costituzionale e rinsaldare le proprie convinzioni. Cenni che
richiamano il periodo della sua giovinezza, in un ambiente cattolico
impegnato e saldo sui principi, di conseguenza per nulla incline alle
confusioni ideologiche e alle ventate di astratti furori che hanno
agitato l’epilogo degli anni Sessanta. Il padre Bernardo,
antifascista fin dai tempi del delitto Matteotti, nel 1924, fu legato
a figure come Sturzo, don Minzoni, La Pira, De Gasperi. Il fratello
Piersanti, e lui stesso, a Moro, Zaccagnini, Elia, Scoppola. Per cui
viene naturale chiedergli quali libri gli siano passati per le mani
nell’adolescenza. C’è stato qualche autore che ha segnato più
di altri il suo percorso e con il quale è entrato più «in
comunione»? E perché?
«La mia formazione si richiama a quel
filone che potrebbe essere definito montiniano… (dal nome di Papa
Paolo VI, la cui immagine fu schiacciata da giudizi troppo sommari di
tormentato amletismo, mentre stava invece aprendo la Chiesa al mondo,
ndr ). Umanesimo integrale di Jacques Maritain è il testo che,
tutt’ora, ritengo mi abbia maggiormente influenzato rispetto al
senso della vita e della responsabilità personale. Ma da giovane ho
letto molto… Da Fedor Dostoevskij ad Aleksandr Solzenicyn, da
William Somerset Maugham a Paul Claudel, da Thomas Eliot a Ignazio
Silone, da Benedetto Croce a Romano Guardini, dai libri di storia di
Winston Churchill e di Luigi Salvatorelli a tanti altri».
Mattarella, dunque, già da ragazzo era quel che si dice un lettore
«forte» di libri, oltre che di giornali, dei quali apprezza le
iniziative per promuovere il dibattito delle idee nel senso più
vasto del termine (come si sforza di fare il «Corriere della Sera»
con «la Lettura»). Un giovane pieno di slanci e curiosità che, nei
propri incroci culturali, si poneva questioni di gnosi, di
conoscenza, più che di mera espressività, come accade a molti di
coloro che coltivano l’interesse per altre arti: musica o pittura,
per intenderci. E che, come carta assorbente, di pagina in pagina
tentava di cogliere e imprimere dentro di sé qualche risposta alle
domande ultime che ci si pongono a quell’età.
Letture inquiete
e impegnative, spesso improntate alla voglia di educarsi su un
registro da stoici. Letture tipiche di uno che coltiva il dubbio e
sta ogni giorno in allarme, dominate dall’ansia di chi non cerca
riparo in confortevoli «verità» ideologiche totali e non ha la
presunzione che esista un’utopia migliore delle altre. Ciò che
hanno fatto in tanti, nel Novecento, per giustificare il proprio
abbraccio ai totalitarismi.
È un pezzo di autoritratto, quello
che affiora dal colloquio sui libri con il presidente, che ci riporta
ad alcune curiose predilezioni dei suoi più vicini predecessori al
Quirinale. Francesco Cossiga, per esempio, diceva con civetteria di
amare alla pari Tommaso Moro, la poesia elisabettiana e le spy story
. Oscar Luigi Scalfaro, ortodosso ai canoni ottocenteschi, si
attardava ancora sul Manzoni e sui versi della tradizione, che sapeva
recitare a memoria. Il filologo Carlo Azeglio Ciampi continua a
esplorare la saggistica che si concentra sull’«io diviso» degli
italiani, senza trascurare i classici latini e greci e le incognite
dell’economia. E Giorgio Napolitano spazia dagli affreschi storici
ad André Malraux a Irène Némirovsky, fino alla memorialistica
spiccatamente politica. E lei, presidente, quali generi letterari
predilige? E quale valore dà alla poesia, piuttosto trascurata dagli
editori, che però conta sempre su un pubblico fedele?
«Esclusa
la poesia elisabettiana e le spy story — sorride Mattarella, stando
al gioco — mi interessano e ho “frequentato” tutti i generi che
lei ha indicato e attribuito alle preferenze dei vari presidenti. Vi
manca un po’ forse la narrativa, cui pure faccio ricorso.
“Frequento” anche la poesia: questa evoca, sollecita, suggerisce
intuizioni, aiuta a comprendere molto di se stessi e degli altri, e
del mondo che ci circonda. I versi di Giuseppe Ungaretti dal fronte
della Grande guerra ne fanno comprendere la realtà anche più di
alcune rievocazioni storiche. Vorrei aggiungere, infine, che non so
quanti nostri concittadini si rendano conto di quanto numerosi siano
i modi di dire del parlare quotidiano contenuti nei versi della
Divina Commedia …».
E ai giovani che cosa consiglierebbe di
leggere, oggi, per dotarsi di qualche buon antidoto nel clima di
generale indifferenza e cinismo e per indurli a «sperare malgrado la
disperazione»?
«Potrei ripetere, con molto rispetto per le
scelte di ciascuno, quel che dico ai miei nipoti adolescenti: i libri
sono un giacimento sterminato per comprendere la vita e
attraversarla… Cominciate con Dostoevskij, cari ragazzi».
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