Corriere della Sera del 28/08/15
Michele Farina
«Senza il mio smartphone non sarei mai
arrivato fin qui a Belgrado, non potrei proseguire in Europa» dice
Osama Aljasem, 32 anni, insegnante di musica in fuga dalla guerra
siriana intervistato dal New York Times . In ogni Paese compra una
nuova sim e si mette a navigare: una mappa da scaricare per il
percorso, un’occhiata ai social per le ultime sui punti di
passaggio, il dilemma quotidiano della ricarica. Il telefonino è
forse l’oggetto più prezioso nello smilzo bagaglio dei nuovi
migranti 2.0. Bussola, Gps, messaggi a chi è rimasto a casa, a chi
magari aspetta dietro una frontiera.
Con Facebook e Whatsapp si
mandano aggiornamenti in tempo reale sulle rotte, dopo averli
utilizzati prima della partenza per pianificare il viaggio. Sui
social in lingua araba, nei gruppi su Facebook («Come emigrare in
Europa» conta 40 mila membri) ci si scambiano informazioni, mentre i
trafficanti cercano di postare le loro offerte last minute con tanto
di «likes» più o meno taroccati: «Sconto del 50% per i bambini
sotto i 5 anni». Da Istanbul a Salonicco, dalla Turchia alla Grecia,
1.900 euro a persona: passaggio in auto con due ore di camminata.
Anche l’Onu distribuisce sim gratuite ai rifugiati in Giordania.
Grazie ai social network (e a gruppi del tipo «Come fare a meno dei
trafficanti»), le organizzazioni criminali stanno perdendo quote di
mercato, almeno nella tratta Siria-Europa. Le tariffe dei passatori
sono calate della metà dall’inizio del conflitto.
Un account
su Facebook non può mancare nel kit di chi scappa. Ma può anche
valere una condanna. A chi passa dai checkpoint in Siria, governativi
o Isis, viene spesso richiesta la password di Facebook da cui si può
capire da che parte si sta nella guerra in corso. Amico o nemico.
Vita o morte. Lo smartphone conserva tutto: tracce, contatti. Per
questo c’è chi non lo porta con sé. E ne compra uno nuovo solo
quando ha passato il confine turco. Il telefono, la tua croce.
Succedeva anche dieci anni fa in Iraq, durante la guerra civile
sunniti-sciiti (300 morti al giorno), quando i social non erano così
diffusi.
Per evitare di essere uccisi dall’opposta fazione, la
gente a Bagdad si comprava una seconda identità. Due documenti in
tasca, sunnita e sciita, da cui pescare quello giusto a seconda della
zona del checkpoint. Ma i tagliagole di turno avevano imparato la
contromossa: chiedevano al malcapitato di chiamare casa. Si facevano
passare la moglie o il figlio e chiedevano a bruciapelo: «Tuo marito
è sunnita o sciita?». Roulette irachena, 50% di possibilità. La
risposta sbagliata, e tuo marito (tuo padre) finiva con un trapano
nella tempia. In confronto, nel tempo dei migranti siriani 2.0,
chiedere la password di Facebook è quasi più umano.
Nessun commento:
Posta un commento