Corriere della Sera 28/08/15
Luigi Offeddu
Al mattino, una promessa orgogliosa: «È
mia ferma convinzione che l’Europa, come continente ricco, sia in
grado di affrontare il problema dei migranti». Alla sera, un minuto
di raccoglimento per quel Tir sulla vicina autostrada pieno di
cadaveri, e il tragico annuncio che sa di sconfitta: «Siamo tutti
sconvolti da questa terribile notizia: è un avvertimento affinché
ci mettiamo al lavoro per risolvere questo problema e dare prova di
solidarietà». Una sola persona, la cancelliera Angela Merkel,
riassume così a Vienna il dramma per cui l’Ue non sa più trovare
un nome, oltre che una soluzione. A fine giornata la leader tedesca
risponde a una domanda sulla polemica con Roma: «Abbiamo raggiunto
con Italia e Grecia l’accordo sul fatto che i centri di
registrazione debbano essere allestiti entro la fine dell’anno. Ma
Italia e Grecia potranno accettare gli Hotspot solo se altri Paesi
sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti».
Al vertice
sui Balcani Occidentali, come pochi giorni fa a quello bilaterale
Francia-Germania, si è tornato ieri a parlare di Paesi dell’Est e
corridoi di solidarietà, diritto d’asilo o paura, frontiere aperte
o chiuse, e delle masse che premono alle porte del continente. Come
ha riassunto il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter
Steinmeier: «Mai prima nella storia tante persone hanno lasciato le
loro case per fuggire dalla guerra, dalla violenza o dalla
persecuzione». Per il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni «fino a
tre mesi fa Italia e Grecia sembravano da sole, ora comincia a
serpeggiare nella Ue la giusta preoccupazione». Hanno partecipato
all’incontro Germania, Italia, Grecia, Francia, Slovenia, Croazia,
insieme con l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri,
Federica Mogherini, con il commissario Ue all’Allargamento Johannes
Hahn, e con quelle nazioni candidate o «candidate potenziali»
all’ingresso nella Ue, che più sentono la pressione da Oriente:
Serbia, Albania, Montenegro, Macedonia, Kosovo e Bosnia-Erzegovina.
Ma anche sul tavolo di questo vertice, com’era probabilmente
inevitabile, non sono rimaste quelle ricette chiare, e quelle
«proposte comuni», che tutti a parole si augurano. A parte un piano
in 5 fasi, presentato dal ministro degli Esteri austriaco Sebastian
Kurz, che però alcuni bollano già come utopico, e che comunque
dovrebbe passare al vaglio di tutta l’Ue. Prevede fra l’altro la
creazione di «aree sicure», magari protette da truppe sotto mandato
Onu, nei Paesi d’origine dei migranti (che sono poi la Libia, la
Siria, l’Afghanistan o il Mali, e già questi nomi definiscono la
complessità del progetto): in queste zone, chi vuole partire per
l’Ue dovrebbe passare una selezione preventiva, e una volta
superatala potrebbe emigrare alla luce del sole, sfuggendo alla morsa
degli scafisti e in genere dei trafficanti di uomini.
Se neanche
questo piano dovesse concretarsi, ha ammonito Kurz, «le singole
nazioni agirebbero ognuna per proprio conto, mettendo così in
pericolo la nostra idea europea di confini aperti». «Bisogna far
presto», si è ripetuto all’unisono anche a Vienna, come già era
accaduto negli ultimi mesi. La presenza contemporanea all’incontro
della cancelliera tedesca e del suo ministro degli Esteri ha
sottolineato l’allarme della prima potenza europea. Neppure
Berlino, oggi, ha la ricetta per conciliare in tutta la Ue generosità
ed egoismo nazionale, paura e solidarietà.
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