domenica 30 agosto 2015

Merkel: c’è l’accordo con l’Italia, centri di registrazione entro l’anno.


Corriere della Sera 28/08/15
Luigi Offeddu
Al mattino, una promessa orgogliosa: «È mia ferma convinzione che l’Europa, come continente ricco, sia in grado di affrontare il problema dei migranti». Alla sera, un minuto di raccoglimento per quel Tir sulla vicina autostrada pieno di cadaveri, e il tragico annuncio che sa di sconfitta: «Siamo tutti sconvolti da questa terribile notizia: è un avvertimento affinché ci mettiamo al lavoro per risolvere questo problema e dare prova di solidarietà». Una sola persona, la cancelliera Angela Merkel, riassume così a Vienna il dramma per cui l’Ue non sa più trovare un nome, oltre che una soluzione. A fine giornata la leader tedesca risponde a una domanda sulla polemica con Roma: «Abbiamo raggiunto con Italia e Grecia l’accordo sul fatto che i centri di registrazione debbano essere allestiti entro la fine dell’anno. Ma Italia e Grecia potranno accettare gli Hotspot solo se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti». 
 Al vertice sui Balcani Occidentali, come pochi giorni fa a quello bilaterale Francia-Germania, si è tornato ieri a parlare di Paesi dell’Est e corridoi di solidarietà, diritto d’asilo o paura, frontiere aperte o chiuse, e delle masse che premono alle porte del continente. Come ha riassunto il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier: «Mai prima nella storia tante persone hanno lasciato le loro case per fuggire dalla guerra, dalla violenza o dalla persecuzione». Per il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni «fino a tre mesi fa Italia e Grecia sembravano da sole, ora comincia a serpeggiare nella Ue la giusta preoccupazione». Hanno partecipato all’incontro Germania, Italia, Grecia, Francia, Slovenia, Croazia, insieme con l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Federica Mogherini, con il commissario Ue all’Allargamento Johannes Hahn, e con quelle nazioni candidate o «candidate potenziali» all’ingresso nella Ue, che più sentono la pressione da Oriente: Serbia, Albania, Montenegro, Macedonia, Kosovo e Bosnia-Erzegovina. Ma anche sul tavolo di questo vertice, com’era probabilmente inevitabile, non sono rimaste quelle ricette chiare, e quelle «proposte comuni», che tutti a parole si augurano. A parte un piano in 5 fasi, presentato dal ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz, che però alcuni bollano già come utopico, e che comunque dovrebbe passare al vaglio di tutta l’Ue. Prevede fra l’altro la creazione di «aree sicure», magari protette da truppe sotto mandato Onu, nei Paesi d’origine dei migranti (che sono poi la Libia, la Siria, l’Afghanistan o il Mali, e già questi nomi definiscono la complessità del progetto): in queste zone, chi vuole partire per l’Ue dovrebbe passare una selezione preventiva, e una volta superatala potrebbe emigrare alla luce del sole, sfuggendo alla morsa degli scafisti e in genere dei trafficanti di uomini. 
 Se neanche questo piano dovesse concretarsi, ha ammonito Kurz, «le singole nazioni agirebbero ognuna per proprio conto, mettendo così in pericolo la nostra idea europea di confini aperti». «Bisogna far presto», si è ripetuto all’unisono anche a Vienna, come già era accaduto negli ultimi mesi. La presenza contemporanea all’incontro della cancelliera tedesca e del suo ministro degli Esteri ha sottolineato l’allarme della prima potenza europea. Neppure Berlino, oggi, ha la ricetta per conciliare in tutta la Ue generosità ed egoismo nazionale, paura e solidarietà. 


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