Corriere della Sera 28/08/15
Federico Fubini
Il corridoio del primo piano di Palazzo
Chigi, quello dal lato di Piazza Colonna che porta all’ufficio del
primo ministro, con il tempo è cambiato. Durante governi ormai
distanti, si potevano sentire i fattorini discutere a lungo fra loro
di ferie e turni, in livrea e scarpe da tennis. All’inizio
dell’esecutivo di Matteo Renzi molte stanze erano vuote, e si
respirava la disorganizzazione che arriva con l’inesperienza e la
voglia di fare.
Ora è diverso. C’è ordine nell’attitudine
dei fattorini, e le stanze lungo il corridoio non sono più vuote.
Renzi si è dato una struttura di consiglieri economici che con i
mesi è cresciuta fino a diventare la più robusta mai vista a
Palazzo Chigi. Massimo D’Alema aveva il primato, perché quando
divenne premier nel 1998 chiamò Pier Carlo Padoan, Marcello Messori,
Nicola Rossi, Massimo De Vincenti e, per la politica estera, Marta
Dassù. Ma deciso a guidare direttamente dai suoi uffici tutto il
programma di governo, Renzi è andato oltre. Ha sette consiglieri per
le riforme economiche, e al rientro a settembre il premier cercherà
di capire se è il caso di reclutarne altri ancora o addirittura
riorganizzare il loro lavoro. La decisione più importante da
prendere, quanto a questo, è se applicare il metodo americano: la
Casa Bianca ha il Council of Economic Advisors, con procedure, lavoro
di squadra, ruoli ben definiti e un capo che coordina l’attività e
i rapporti con il presidente. L’ipotesi è già stata discussa. La
decisione non c’è. Di certo qualcosa cambierà: come previsto
dall’inizio, alcuni dei consiglieri rientreranno nelle loro
carriere di prima. Andrea Guerra, l’ex amministratore delegato di
Luxottica che ha gestito per il premier le partite sulla banda larga,
la Cassa depositi e l’Ilva, in ottobre (salvo sorprese) diventerà
presidente di Eataly. Tommaso Nannicini, l’economista di 41 anni
che ha tenuto la regia del Jobs act e della delega fiscale, dovrebbe
tornare alla Bocconi: se non lo facesse perderebbe un grosso
finanziamento europeo di ricerca. Ci sono poi voci insistenti, ma non
confermate, che anche la responsabile per le banche Carlotta De
Franceschi potrebbe lasciare.
Alla fine Nannicini resterebbe, se
solo riuscisse a congelare il suo finanziamento europeo; e anche su
De Franceschi non ci sono decisioni. Eppure questa è una squadra che
rischia di perdere tre pezzi su sette in poche settimane, mentre
persino al completo è già travolta di lavoro: legge di Stabilità,
spending review, rapporti con le imprese, quel che resta da attuare
nel Jobs act, rapporti con gli enti locali, le riforme bancarie, e
tra pochissimo l’attuazione di deleghe delicatissime e molto
complesse su giustizia e pubblica amministrazione.
Visto dai
piani alti dei ministeri di settore, secondo alcuni è in corso un
tentativo di accentrare nell’ufficio del premier l’esecuzione di
tutto il programma di governo. Visto da Palazzo Chigi, il problema è
diverso. I consiglieri di Renzi sanno che devono lavorare con le
burocrazie ministeriali per attuare le riforme, semmai in questi mesi
è mancato loro qualcos’altro: non si sono mai seduti tutti insieme
con il premier, documenti sul tavolo o grafici proiettati sugli
schermi, per discutere dei problemi del Paese e delle strategie per
risolverli. Renzi è riuscito ad attrarre alcuni dei migliori
economisti e dei massimi specialisti d’Italia, spesso sotto o
attorno ai 40 anni, tutti scelti anche per la loro duttilità. Ma non
ne ha mai fatto una squadra. Ciascuno dei consiglieri parla con il
premier da solo e a sua volta ciascuno di loro si dota di un gruppo
di persone, spesso informale. Per esempio, il giurista della Bocconi
Maurizio Del Conte ha lasciato per mesi l’università e il suo
studio di avvocato per scrivere i testi dei decreti del Jobs act in
cambio di un rimborso spese: treno da Milano, taxi da Termini a
Piazza Colonna e hotel, secondo regolamento non oltre le tre stelle.
In vista del confronto con Bruxelles sulla legge di stabilità e
operazioni defatiganti e capillari come le riforme della giustizia e
dell’amministrazione, a Palazzo Chigi si sta discutendo di un salto
di qualità al giro di boa delle riforme. Servono nuovi innesti e,
secondo alcuni, una struttura chiara con una persona di riferimento e
più lavoro di squadra. Il realtà il metodo Renzi finora si è
dimostrato utile: incontrando i suoi consiglieri uno ad uno, tenendo
le sue carte coperte, il premier è riuscito a muovere di sorpresa ed
evitare che il fuoco di fila contro le riforme partisse troppo
presto. Ma il punto di forza del Council of Economic Advisor della
Casa Bianca è proprio di far leva sulle competenze per metterle a
fattor comune e moltiplicarle, con forte un impatto a valle sulla
burocrazia.
Su questa ipotesi, ancora volta Renzi tiene le carte
coperte. Lo stesso Andrea Guerra per mesi ha lavorato per formare un
secondo gruppo (esterno) di poche personalità su cui il premier
potesse contare. Non è chiaro che Guerra sia riuscito, anche perché
è difficile convincere professionisti affermati ad abbandonare le
proprie attività. Ma quale che sia l’esito di questo dibattito in
corso, anche la disciplina dei fattorini in corridoio nasconde sempre
qualche indizio sulla natura di una leadership.
Nessun commento:
Posta un commento