Corriere della Sera 07/08/15
Monica Guerzoni
Guai a dire che la minoranza ha
piazzato 17 mine sul terreno della riforma costituzionale, perché i
«ribelli» si offenderebbero assai. Ma in giorni di metafore
belliche incrociate, è così che il fronte renziano potrebbe
accogliere le proposte di riforma depositate dai dissidenti di
Palazzo Madama. E che Miguel Gotor, in nome del «riformismo mite dei
cattolici democratici e dei socialisti europei», offre a Renzi come
antidoto alla guerriglia permanente.
«Noi crediamo nel processo
riformatore — assicura il senatore — ma poiché il muro contro
muro può metterlo a rischio invitiamo il premier a cercare, con
prudenza politica, un accordo preventivo sulla via indicata con
saggezza dal presidente Grasso». È la proposta di un patto di non
belligeranza, che scongiuri il patatrac: «Sarebbe un grave errore
non cogliere questa opportunità storica, magari per impuntature
caratteriali. Renzi vuole davvero cambiare la riforma? E con quali
voti? Con quelli di Verdini e degli amici di Cosentino, secondo la
peggiore tradizione del trasformismo italico, o con la spinta
riformatrice dell’intero Pd?». Eccoli dunque, i 17 emendamenti
firmati da un numero variabile di senatori che va da 26 a 28. Il
primo riguarda l’articolo 1 e restituisce ai senatori competenze in
materia di Europa. Ma il più importante è quello all’articolo 2,
che reca in calce 28 firme: Gotor, Migliavacca, Broglia, Casson,
Chiti, Corsini, d’Adda, Dirindin, Fornaro, Gatti, Giacobbe, Guerra,
Guerrieri, Lai, Lo Giudice, Manassero, Manconi, Martini, Micheloni,
Mucchetti, Mineo, Pegore, Ricchiuti, Ruta, Sonego, Tocci, Tronti e
Turano.
«Il Senato della Repubblica — è il passaggio che farà
infuriare il Pd di governo — è eletto dai cittadini su base
regionale, garantendo la parità di genere, in concomitanza con la
elezione dei consigli regionali». È il punto più controverso della
riforma, sul quale potrà realizzarsi una «convergenza larga» con
M5S, Forza Italia, Sel, Lega e non solo. «L’articolo 2 sarà
votato dall’Aula, perché le versioni di Senato e Camera non sono
identiche — avverte Gotor —. Per evitare di mettere a repentaglio
il processo riformatore consigliamo di emendarlo». Volete azzerare
tutto e ripartire da capo? «È un argomento falso, un paradosso
propagandistico. Con un accordo basterebbero pochi accorgimenti per
far proseguire il processo riformatore». La mediazione del governo
prevede l’elezione indiretta con un «listino a scorrimento», idea
che Gotor boccia senza appello: «È un pastrocchio. Così il Grande
Nominatore sceglierebbe anche i senatori, magari tra quei consiglieri
regionali che hanno bisogno dell’immunità... La politica non è il
gioco del Monopoli».
All’articolo 10 Corsini e altri 27
chiedono che alcuni temi qualificati restino di competenza
bicamerale, senza però tornare al bicameralismo paritario: libertà
religiosa, amnistia e indulto, fine vita, diritti delle minoranze e
legge elettorale nazionale. «Vogliamo evitare che il vincitore del
premio di maggioranza — spiega Gotor — si ritocchi a proprio
piacimento il sistema di voto». E qui il senatore che, in tandem con
Chiti, guida i dissidenti, ricorda come «tante volte nei momenti di
crisi le minoranze hanno segnato un limite al conformismo». Il
mantra di Bersani contro l’uomo solo al comando? «Noi non abbiamo
paura del tiranno, dell’uomo nero o della svolta autoritaria, come
superficialmente ci viene rimproverato — assicura Gotor —. Il
problema è separare le istituzioni dalla politica, perché i
salvatori della patria passano e il sistema, già fragile, resta».
L’emendamento all’articolo 13, 26 firme, propone che il sindacato
preventivo sulla legge elettorale scatti in automatico. E quello
all’articolo 20 chiede per i senatori poteri di verifica, controllo
e inchiesta. All’articolo 37 la minoranza ripristina la norma
secondo cui due giudici della Corte costituzionale sono scelti dal
Senato e, all’articolo 21, ampliano la platea dei grandi elettori
del capo dello Stato, perché «il vincitore del premio non può
scegliere quasi da solo chi mandare al Quirinale». E qui Chiti
propone 200 sindaci eletti proporzionalmente dal Consiglio delle
autonomie locali oppure, la stessa platea rafforzata dai parlamentari
europei. E ci sono anche due emendamenti Casson all’articolo 7, che
cambiano l’immunità per i parlamentari.
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