venerdì 21 agosto 2015

"I poveri non sono scarti. Serve condivisione "


Al Meeting di Rimini il segretario Cei, Nunzio Galantino evidenzia che "il disperato cerca, l'appagato no".

C'è bisogno di maggiore attenzione "a tutti i poveri, a quelli che non hanno il lavoro o lo hanno perso, a quelli che provengono da zone più povere ed economicamente arretrate, a quelli che non sono in grado di difendersi perché attendono di nascere e godere della vita". Anche la Chiesa deve "rinnovarsi nelle sue strutture, nelle dinamiche decisionali e nelle prassi concrete delle comunità". Servono "dinamiche autenticamente evangeliche e libere, che manifestino in modo sempre più trasparente la carità". Dalla parte degli ultimi, sempre. "Il limite è una scuola capace di insegnarci quale sia il segreto della vita: chi è appagato non cerca, né lo fa chi è disperato-afferma il segretario generale della Cei Nunzio Galantino-. Cerca invece chi è povero, cioè chi percepisce il limite come caratterizzante la natura umana e ne fa motivo di crescita. La persona va concepita in modo che il limite non sia un accidente, ma costitutivo dell’essere. Se accettato, la coscienza del limite si trasforma in desiderio di aprirsi agli altri e all’Altro, con la a maiuscola, cioè a Dio". Quindi "l’umiltà è l’atteggiamento interiore che consente di valorizzare il limite, rendendolo un motivo di crescita invece che di rammarico: è la virtù che permette di accettare la propria condizione senza desiderarne un’altra, ma accogliendone le sfide e la bellezza", evidenzia il vescovo Galantino davanti alla platea di Rimini.
Alla 36°edizione del Meeting per l'amicizia tra i popoli, il suo intervento era tra i più attesi dopo una settimana di polemiche sugli sbarchi di migranti e l'inadeguatezza della politica. Monsignor Galantino ha parlato del senso del limite e del fascino delle frontiere. "Gesù, sceglie la povertà per stare con noi- spiega-.La diffusione del cristianesimo è l’evento che più ha rivoluzionato la storia del mondo e il modo di pensare l’humanum. Credere in un Dio che soffre fino alla morte, che è il punto drammaticamente più alto del limite; e credere in un Dio che vince il male assumendo la debolezza altrui introduce una visione che stravolge per sempre le categorie attraverso le quali si pensa il divino". Il comandamento dell’amore, che per il Vangelo riassume tutti i comandamenti, "porta a intendere gli ultimi non più come scarti, ma come persone da sollevare e delle quali condividere la sorte". Una Chiesa che "fa del limite una risorsa assume lo stile missionario invocato da Francesco, divenendo sempre meno dispensatrice di servizi e sempre più ospedale da campo, chinata sugli ultimi, nei quali è racchiusa la più grande ricchezza, nei quali è presente lo stesso Signore, dai quali spera di essere accolta nel Regno di Dio". Ed è la vita del singolo che deve essere rivista e ammodernata da una più forte presa consapevolezza del proprio limite."L’esperienza del limite annichilisce la vita dell’uomo o può rappresentare, se adeguatamente compresa e integrata, un’occasione di crescita e di umanizzazione?- si schiede il vescovo scelto da Francesco per cambiare la Chiesa italiana-. Il senso del limite è solo un momento dell’esperienza dell’uomo che non smette di subire costantemente il fascino delle frontiere". Infatti "a ogni azione o orientamento corrisponde un valore che si intende perseguire: sempre vi è alla base dell’agire un'idea di persona, un ideale di essere umano e di società da raggiungere e verso il quale ci si incammina". Per questo motivo, aggiunge il numero due dell'episcopato, è essenziale "elaborare un’antropologia adeguata, senza la quale si sarà guidati da un’immagine distorta di ciò che siamo".
L'uomo, infatti, non è solo libertà individuale ma anche "ricerca di Dio e della verità, responsabilità, accettazione del sacrificio, alle quali è intimamente legato il raggiungimento di una libertà vera". E invece, avverte monsignor Galantino, "il relativismo vuole promuovere a tal punto la libertà individuale da non tollerare chi la intenda in altro modo, limitando la libertà altrui al fine di difenderla: autentica contraddizione e vero spirito post-filosofico, non razionale".
Il segretario generale della Cei propone di comprendere l’essere umano a partire dal limite, articolando così una “antropologia del limite”, non nel senso di un’antropologia non orientata alla felicità o al benessere della persona, ma nel senso di un’antropologia che li persegue tenendo conto della "nativa debolezza dell’uomo".
Il limite, la “mancanza” non possono essere messi da parte come un inconveniente o un elemento trascurabile, ma "vanno assunti come elementi che strutturano radicalmente l’essere della persona, e vanno valorizzati come portatori di una potenziale ricchezza". Del resto, sottolinea Galantino, l’uomo è, nella sua stessa essenza, un “essere-nel-limite”. E' il limite insito nella natura stessa dell’uomo, in quanto "essere creaturale e intrinsecamente mancante". Una mancanza, della quale "facciamo esperienza ogni giorno e che si manifesta in molte forme e innumerevoli aspetti: nella malattia e in ogni forma di sofferenza, nella difficoltà o impossibilità di realizzare le proprie aspirazioni, nella fatica a collaborare e convivere con gli altri, nella morte che pare azzerare e svuotare ogni obiettivo raggiunto". Se il limite, di cui siamo rivestiti, non è accettato, l’esistenza può trasformarsi in una "finzione e divenire il tentativo di svincolarsi dai limiti senza mai riuscirvi, di negare la propria natura finita e la propria pochezza".
L’essere umano, infatti, "desidera ciò che è grande e illimitato e tende a raggiungere cose sempre più grandi di quelle che ha". Questo è positivo e non è un male in se stesso. Lo diviene però se egli rifiuta la sua debolezza e intende questi obiettivi come dei diritti, arrivando a pretendere di raggiungerli invece che perseguirli con umiltà. "Il limite è nell’uomo un fattore propulsivo, in quanto genera il desiderio, che è il motore della volontà- afferma Galantino-.Se l’uomo possedesse tutto, non cercherebbe nulla; se al contrario si scopre mancante, è mosso alla ricerca di ciò che non ha. Perciò il limite non è semplicemente sinonimo di “imperfezione”, ma è la radice stessa dell’apertura dell’uomo. Proprio l’esperienza dell’indigenza che nasce dal limite, porta al fascino delle frontiere".
Nel suo ragionamento Galantino pone l’esigenza di riconoscere la contemporanea presenza nell’uomo del senso del limite e del fascino delle frontiere. Un modello antropologico per il quale "non è possibile affermare una separazione tra l’essere storico ed incarnato dell’uomo e il suo essere trascendente, fatto quindi per autotrascendersi".
Quello di Galantino è un discorso dottrinario, in cui non manca un richiamo alla politica “guidata da interessi”. Non è morbido il passaggio in cui sostiene che la ricerca dell'utile prevale nelle scelte, sia individuali che pubbliche, rispetto a progetti a lunga scadenza. «Il nostro tempo - sottolinea - è stato, tra l'altro e da più parti, definito come tempo post-filosofico, perché sempre meno attento alla giustificazione razionale degli orientamenti e delle scelte, individuali e pubbliche, guidate per lo più dal perseguimento di interessi e fini immediati e poco meditati, dettati spesso dalla ricerca dell'utile e meno da un progetto consapevole e a lunga scadenza».

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