Al Meeting di Rimini il segretario Cei,
Nunzio Galantino evidenzia che "il disperato cerca, l'appagato
no".
C'è bisogno di maggiore attenzione "a
tutti i poveri, a quelli che non hanno il lavoro o lo hanno perso, a
quelli che provengono da zone più povere ed economicamente
arretrate, a quelli che non sono in grado di difendersi perché
attendono di nascere e godere della vita". Anche la Chiesa deve
"rinnovarsi nelle sue strutture, nelle dinamiche decisionali e
nelle prassi concrete delle comunità". Servono "dinamiche
autenticamente evangeliche e libere, che manifestino in modo sempre
più trasparente la carità". Dalla parte degli ultimi,
sempre. "Il limite è una scuola capace di insegnarci quale
sia il segreto della vita: chi è appagato non cerca, né lo fa chi è
disperato-afferma il segretario generale della Cei Nunzio
Galantino-. Cerca invece chi è povero, cioè chi percepisce il
limite come caratterizzante la natura umana e ne fa motivo di
crescita. La persona va concepita in modo che il limite non sia un
accidente, ma costitutivo dell’essere. Se accettato, la coscienza
del limite si trasforma in desiderio di aprirsi agli altri e
all’Altro, con la a maiuscola, cioè a Dio". Quindi "l’umiltà
è l’atteggiamento interiore che consente di valorizzare il limite,
rendendolo un motivo di crescita invece che di rammarico: è la virtù
che permette di accettare la propria condizione senza desiderarne
un’altra, ma accogliendone le sfide e la bellezza", evidenzia
il vescovo Galantino davanti alla platea di Rimini.
Alla 36°edizione del Meeting per
l'amicizia tra i popoli, il suo intervento era tra i più attesi dopo
una settimana di polemiche sugli sbarchi di migranti e
l'inadeguatezza della politica. Monsignor Galantino ha parlato del
senso del limite e del fascino delle frontiere. "Gesù, sceglie
la povertà per stare con noi- spiega-.La diffusione del
cristianesimo è l’evento che più ha rivoluzionato la storia del
mondo e il modo di pensare l’humanum. Credere in un Dio che soffre
fino alla morte, che è il punto drammaticamente più alto del
limite; e credere in un Dio che vince il male assumendo la debolezza
altrui introduce una visione che stravolge per sempre le categorie
attraverso le quali si pensa il divino". Il comandamento
dell’amore, che per il Vangelo riassume tutti i comandamenti,
"porta a intendere gli ultimi non più come scarti, ma come
persone da sollevare e delle quali condividere la sorte". Una
Chiesa che "fa del limite una risorsa assume lo stile
missionario invocato da Francesco, divenendo sempre meno
dispensatrice di servizi e sempre più ospedale da campo, chinata
sugli ultimi, nei quali è racchiusa la più grande ricchezza, nei
quali è presente lo stesso Signore, dai quali spera di essere
accolta nel Regno di Dio". Ed è la vita del singolo che deve
essere rivista e ammodernata da una più forte presa consapevolezza
del proprio limite."L’esperienza del limite annichilisce la
vita dell’uomo o può rappresentare, se adeguatamente compresa e
integrata, un’occasione di crescita e di umanizzazione?- si schiede
il vescovo scelto da Francesco per cambiare la Chiesa italiana-. Il
senso del limite è solo un momento dell’esperienza dell’uomo che
non smette di subire costantemente il fascino delle frontiere".
Infatti "a ogni azione o orientamento corrisponde un valore
che si intende perseguire: sempre vi è alla base dell’agire
un'idea di persona, un ideale di essere umano e di società da
raggiungere e verso il quale ci si incammina". Per questo
motivo, aggiunge il numero due dell'episcopato, è essenziale
"elaborare un’antropologia adeguata, senza la quale si sarà
guidati da un’immagine distorta di ciò che siamo".
L'uomo, infatti, non è solo libertà
individuale ma anche "ricerca di Dio e della verità,
responsabilità, accettazione del sacrificio, alle quali è
intimamente legato il raggiungimento di una libertà vera". E
invece, avverte monsignor Galantino, "il relativismo vuole
promuovere a tal punto la libertà individuale da non tollerare chi
la intenda in altro modo, limitando la libertà altrui al fine di
difenderla: autentica contraddizione e vero spirito post-filosofico,
non razionale".
Il segretario generale della Cei
propone di comprendere l’essere umano a partire dal limite,
articolando così una “antropologia del limite”, non nel senso di
un’antropologia non orientata alla felicità o al benessere della
persona, ma nel senso di un’antropologia che li persegue tenendo
conto della "nativa debolezza dell’uomo".
Il limite, la “mancanza” non
possono essere messi da parte come un inconveniente o un elemento
trascurabile, ma "vanno assunti come elementi che strutturano
radicalmente l’essere della persona, e vanno valorizzati come
portatori di una potenziale ricchezza". Del resto, sottolinea
Galantino, l’uomo è, nella sua stessa essenza, un
“essere-nel-limite”. E' il limite insito nella natura stessa
dell’uomo, in quanto "essere creaturale e intrinsecamente
mancante". Una mancanza, della quale "facciamo
esperienza ogni giorno e che si manifesta in molte forme e
innumerevoli aspetti: nella malattia e in ogni forma di sofferenza,
nella difficoltà o impossibilità di realizzare le proprie
aspirazioni, nella fatica a collaborare e convivere con gli altri,
nella morte che pare azzerare e svuotare ogni obiettivo raggiunto".
Se il limite, di cui siamo rivestiti, non è accettato, l’esistenza
può trasformarsi in una "finzione e divenire il tentativo di
svincolarsi dai limiti senza mai riuscirvi, di negare la propria
natura finita e la propria pochezza".
L’essere umano, infatti, "desidera
ciò che è grande e illimitato e tende a raggiungere cose sempre più
grandi di quelle che ha". Questo è positivo e non è un male in
se stesso. Lo diviene però se egli rifiuta la sua debolezza e
intende questi obiettivi come dei diritti, arrivando a pretendere di
raggiungerli invece che perseguirli con umiltà. "Il limite è
nell’uomo un fattore propulsivo, in quanto genera il desiderio, che
è il motore della volontà- afferma Galantino-.Se l’uomo
possedesse tutto, non cercherebbe nulla; se al contrario si scopre
mancante, è mosso alla ricerca di ciò che non ha. Perciò il limite
non è semplicemente sinonimo di “imperfezione”, ma è la radice
stessa dell’apertura dell’uomo. Proprio l’esperienza
dell’indigenza che nasce dal limite, porta al fascino delle
frontiere".
Nel suo ragionamento Galantino pone
l’esigenza di riconoscere la contemporanea presenza nell’uomo del
senso del limite e del fascino delle frontiere. Un modello
antropologico per il quale "non è possibile affermare una
separazione tra l’essere storico ed incarnato dell’uomo e il suo
essere trascendente, fatto quindi per autotrascendersi".
Quello di Galantino è un discorso
dottrinario, in cui non manca un richiamo alla politica “guidata da
interessi”. Non è morbido il passaggio in cui sostiene che la
ricerca dell'utile prevale nelle scelte, sia individuali che
pubbliche, rispetto a progetti a lunga scadenza. «Il nostro tempo -
sottolinea - è stato, tra l'altro e da più parti, definito come
tempo post-filosofico, perché sempre meno attento alla
giustificazione razionale degli orientamenti e delle scelte,
individuali e pubbliche, guidate per lo più dal perseguimento di
interessi e fini immediati e poco meditati, dettati spesso dalla
ricerca dell'utile e meno da un progetto consapevole e a lunga
scadenza».
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