Corriere della Sera d09/08/15
Marco Galluzzo
«Sono convinto che si troverà una
soluzione, la maggioranza non è mai venuta meno e nessuno ha voglia
di provocare una crisi di governo su un dettaglio della riforma del
Senato che è già stato votato e condiviso, è da irresponsabili
solo pensarlo».
Matteo Renzi va in vacanza per alcuni giorni,
affida allo stato maggiore del suo partito, ai ministri a lui più
vicini, il suo personale barometro sulla situazione in Senato. Non ha
gradito ovviamente i toni e il merito delle posizioni della minoranza
dem, ma è convinto di essere dalla parte del giusto e di non potersi
muovere dalla sua posizione: «Chi pensa all’elezione diretta dei
senatori pensa a un mostro giuridico, lo dicono tutti i
costituzionalisti, semmai il compromesso che può essere raggiunto è
attraverso l’indicazione dei nuovi senatori al momento delle
elezioni regionali».
È la stessa soluzione di cui parla il
Nuovo centrodestra, che ha illustrato il presidente della prima
commissione del Senato, il democratico Luigi Zanda, una soluzione —
legata all’idea di un listino ad hoc , ma su base regionale — che
appare in grado di poter trovare consensi anche in alcune frange
dell’opposizione, a cominciare da Forza Italia. Ma che soprattutto
a Palazzo Chigi ritengono in grado di convincere e far rientrare
anche una parte di quei 28 senatori democratici che sul punto hanno
sfidato il capo del governo.
In ogni caso l’ipotesi è una
sorta di argine per Matteo Renzi: oltre il presidente del Consiglio
non ha voglia di andare, significherebbe snaturare la riforma,
ricominciare daccapo con le letture parlamentari, ipotesi che farebbe
rima con una crisi di governo che nessuno vuole, «tantomeno
Berlusconi». Per non parlare, aggiungono nello staff renziano,
proprio di una buona fetta di quei senatori che in questi giorni
rilasciano interviste apparentemente inflessibili, ma in realtà
terrorizzati dall’ipotesi di una crisi di legislatura.
Un
ragionamento condito con altre riflessioni, comunque convergenti su
un punto: la battaglia della minoranza dem, così com’è, non può
essere accolta. Il compromesso del listino ha i requisiti, per le
modalità con cui verrebbero indicati i senatori, per far rientrare
ancora una volta il dissenso interno, così come accaduto negli
ultimi mesi prima sul Jobs act, poi sulla riforma elettorale, quindi
sul provvedimento che ha riguardato la scuola.
Del resto Renzi,
così come le persone a lui più vicine, è convinto che il merito
della questione sia solo apparentemente il Senato elettivo. Racconta
il suo pensiero chi gli ha parlato nelle ultime ore: «Gli stessi
senatori che stanno facendo questa battaglia, l’hanno già fatta
sulla composizione, sulla tipologia delle competenze, su tanti altri
punti su cui si è trovata alla fine una convergenza. Ora fanno
l’ennesima battaglia per colpire me e la mia immagine, il sistema
di indicazione dei senatori c’entra poco o nulla».
E a
proposito di immagine del premier ieri Matteo Renzi aveva sulla sua
scrivania, prima di lasciare Palazzo Chigi nel pomeriggio, un
sondaggio che ha rafforzato le sue tesi: Pd in crescita al 34,5%,
Lega e Forza Italia in flessione di mezzo punto, soddisfazione per
quanto fatto dall’esecutivo in crescita al 33%, quattro punti in
più in una settimana, fiducia nel presidente del Consiglio al 36%,
tre punti in più dell’ultima rilevazione. Altri motivi per
ritenere che a settembre, alla ripresa dei lavori parlamentari, lo
scontro con la minoranza assumerà come in passato modalità diverse.
L’obiettivo resta quello di recuperare almeno una decina di
senatori e di arrivare ad un voto finale in cui le opposizioni, se
dovessero convergere, sarebbero aggiuntive e non sostitutive dei
numeri della maggioranza.
Nessun commento:
Posta un commento