Corriere della Sera 27/08/15
Maria Serena Natale
Quando in Notre-Dame de Paris il
campanaro Quasimodo strappa Esmeralda all’impiccagione, la porta in
cima alla cattedrale e la solleva sul mare di folla gridando «Asilo».
Esmeralda è salva. Sulla soglia di Notre-Dame, scrive Victor Hugo,
«cessava ogni giustizia umana».
Da sempre rifugio degli ultimi
e dei perseguitati, l’asilo è un pilastro del diritto
internazionale, regolato da un ampio corpo di convenzioni e
protocolli. L’istituto giuridico che nella recente storia europea
ha soccorso figure come Thomas Hobbes, Cartesio e Voltaire, oggi
torna al centro del dibattito sulle norme Ue incapaci di fare ordine
e garantire la dignità dei rifugiati. La Germania di Angela Merkel
ha appena fatto ricorso alla «clausola di sovranità» per
sospendere in stato d’emergenza e limitatamente ai cittadini
siriani l’applicazione del Regolamento di Dublino, pietra angolare
del sistema d’asilo europeo. L’urgenza di ripensare Dublino è
stata riaffermata ieri dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni
intervistato dal Corriere . «Dublino III» ed «Eurodac II» sono i
regolamenti del 2013 che rappresentano la versione più aggiornata di
un’architettura nata con la Convenzione del 1990 e modificata con
«Dublino II» nel 2003. Si tratta in sostanza di un insieme di norme
e meccanismi con il quale l’Unione Europea stabilisce su quale
Stato ricada la competenza per l’esame delle richieste di
protezione internazionale. «Eurodac» è un database comunitario di
impronte digitali.
Il controverso principio base è quello del
Paese di primo accesso: salvo eccezioni, l’onere spetta «in
primis» allo Stato che abbia svolto il maggior ruolo rispetto
all’ingresso e al soggiorno del richiedente asilo in territorio Ue.
L’obiettivo principale è evitare che più Stati si ritrovino a
trattare una stessa domanda. In questo modo però il sistema scarica
una pressione insostenibile sulla «prima linea»: Italia e Grecia,
alle quali nelle ultime settimane si è aggiunta anche nelle
dichiarazioni ufficiali di Bruxelles l’Ungheria del premier
nazionalista Viktor Orbán, che forte di un implicito ruolo di
«baluardo» sta alzando un muro di filo spinato al confine con la
Serbia. Paese di primo accesso teme di diventare ora anche la
Bulgaria che ha appena schierato blindati e guardie di frontiera.
Dublino si fonda su presupposti astratti che hanno subito ceduto al
peso della realtà. Pur ampliando i dispositivi per una maggiore
tutela dei diritti, soprattutto dei minori, «Dublino III» ha
mantenuto tutti i limiti che rendono la gestione delle pratiche
disfunzionale e inumana. Nell’Unione non esistono infatti livelli
omogenei di protezione: tempi e condizioni di accoglienza variano da
Stato a Stato e i criteri «oggettivi» fissati non tengono conto
delle esigenze dei migranti, spesso decisi a raggiungere familiari
già in Europa, in alcuni casi trattenuti in veri centri di
detenzione. Da anni Italia e Grecia sono accusate da Paesi come
Germania e Svezia — che mantengono il record d’accoglienza perché
la maggior parte dei rifugiati finora arrivava con «tradizionali»
viaggi in aereo — di non registrare i migranti e lasciarli
proseguire verso il Nord. Proprio per dare sollievo agli Stati di
primo accesso è stato pensato il «sistema hotspot» dell’Agenda
Immigrazione Ue: una serie di centri per il controllo e la
registrazione gestiti dalle forze nazionali in cooperazione con le
agenzie comunitarie. Soluzione parziale e già superata dagli eventi.
Un ulteriore passo verso la revisione di Dublino è il piano tedesco
in dieci punti «per una nuova integrazione della politica europea
dell’asilo» appena presentato dal vice cancelliere Sigmar Gabriel
e dal ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. Ancora uno
strappo della Germania ormai leader nella gestione di una crisi che è
una corsa contro il tempo. L’ultima tragedia è quella di un 15enne
somalo soccorso da una nave di Medici senza frontiere. Prima di
prendere il mare era stato torturato, non ce l’ha fatta.
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