domenica 30 agosto 2015

Cambiare Dublino.


Corriere della Sera 27/08/15
Maria Serena Natale
Quando in Notre-Dame de Paris il campanaro Quasimodo strappa Esmeralda all’impiccagione, la porta in cima alla cattedrale e la solleva sul mare di folla gridando «Asilo». Esmeralda è salva. Sulla soglia di Notre-Dame, scrive Victor Hugo, «cessava ogni giustizia umana». 
 Da sempre rifugio degli ultimi e dei perseguitati, l’asilo è un pilastro del diritto internazionale, regolato da un ampio corpo di convenzioni e protocolli. L’istituto giuridico che nella recente storia europea ha soccorso figure come Thomas Hobbes, Cartesio e Voltaire, oggi torna al centro del dibattito sulle norme Ue incapaci di fare ordine e garantire la dignità dei rifugiati. La Germania di Angela Merkel ha appena fatto ricorso alla «clausola di sovranità» per sospendere in stato d’emergenza e limitatamente ai cittadini siriani l’applicazione del Regolamento di Dublino, pietra angolare del sistema d’asilo europeo. L’urgenza di ripensare Dublino è stata riaffermata ieri dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni intervistato dal Corriere . «Dublino III» ed «Eurodac II» sono i regolamenti del 2013 che rappresentano la versione più aggiornata di un’architettura nata con la Convenzione del 1990 e modificata con «Dublino II» nel 2003. Si tratta in sostanza di un insieme di norme e meccanismi con il quale l’Unione Europea stabilisce su quale Stato ricada la competenza per l’esame delle richieste di protezione internazionale. «Eurodac» è un database comunitario di impronte digitali. 
 Il controverso principio base è quello del Paese di primo accesso: salvo eccezioni, l’onere spetta «in primis» allo Stato che abbia svolto il maggior ruolo rispetto all’ingresso e al soggiorno del richiedente asilo in territorio Ue. L’obiettivo principale è evitare che più Stati si ritrovino a trattare una stessa domanda. In questo modo però il sistema scarica una pressione insostenibile sulla «prima linea»: Italia e Grecia, alle quali nelle ultime settimane si è aggiunta anche nelle dichiarazioni ufficiali di Bruxelles l’Ungheria del premier nazionalista Viktor Orbán, che forte di un implicito ruolo di «baluardo» sta alzando un muro di filo spinato al confine con la Serbia. Paese di primo accesso teme di diventare ora anche la Bulgaria che ha appena schierato blindati e guardie di frontiera. Dublino si fonda su presupposti astratti che hanno subito ceduto al peso della realtà. Pur ampliando i dispositivi per una maggiore tutela dei diritti, soprattutto dei minori, «Dublino III» ha mantenuto tutti i limiti che rendono la gestione delle pratiche disfunzionale e inumana. Nell’Unione non esistono infatti livelli omogenei di protezione: tempi e condizioni di accoglienza variano da Stato a Stato e i criteri «oggettivi» fissati non tengono conto delle esigenze dei migranti, spesso decisi a raggiungere familiari già in Europa, in alcuni casi trattenuti in veri centri di detenzione. Da anni Italia e Grecia sono accusate da Paesi come Germania e Svezia — che mantengono il record d’accoglienza perché la maggior parte dei rifugiati finora arrivava con «tradizionali» viaggi in aereo — di non registrare i migranti e lasciarli proseguire verso il Nord. Proprio per dare sollievo agli Stati di primo accesso è stato pensato il «sistema hotspot» dell’Agenda Immigrazione Ue: una serie di centri per il controllo e la registrazione gestiti dalle forze nazionali in cooperazione con le agenzie comunitarie. Soluzione parziale e già superata dagli eventi. Un ulteriore passo verso la revisione di Dublino è il piano tedesco in dieci punti «per una nuova integrazione della politica europea dell’asilo» appena presentato dal vice cancelliere Sigmar Gabriel e dal ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. Ancora uno strappo della Germania ormai leader nella gestione di una crisi che è una corsa contro il tempo. L’ultima tragedia è quella di un 15enne somalo soccorso da una nave di Medici senza frontiere. Prima di prendere il mare era stato torturato, non ce l’ha fatta.

Nessun commento:

Posta un commento