L'Unità 20 agosto 2015
Intervista al sindaco di Torino: “Il
Pd deve privilegiare la sintonia con i cittadini. Scissione? In tutta
Europa si discute restando uniti”
Alla crisi della politica non si
risponde «chiudendosi in un ghetto bensì attraverso riforme del
Paese e della politica che restituiscano credibilità ai partiti. Le
riforme messe in campo da Renzi vanno sostenute perché corrispondono
ad aspettative diffuse». Piero Fassino, sindaco di Torino e ultimo
segretario dei Ds, interviene nel dibattito sul Pd e la sinistra con
una intervista a l’Unità. «Le ragioni di Staino sono fondate,
giuste, la risposta di Cuperlo mi è parsa sulla difensiva. Ma una
sinistra difensiva è destinata a essere sconfitta in un mondo veloce
come oggi. Se non guida il cambiamento sarà subalterna».
Sindaco Piero Fassino, cosa sta
succedendo nel Pd che lei conosce bene per averlo fondato dopo aver
guidato sette anni i Ds? Si vede un clima da resa dei conti, da
duello all’Ok Corral…
«Io credo che un partito sia vitale e
utile quando non si ripiega su se stesso e non si chiude
nell’autoreferenzialità. La differenza tra partito e setta è
proprio il rapporto con la società che ha l’ambizione di guidare.
E la prospettiva di dirigenti e militanti deve essere questa:
privilegiare la sintonia con i cittadini. Se si parte da questo
presupposto, non si può non vedere la crisi dei partiti e delle
altre forme di rappresentanza. Penso al caso recente calo di tessere
della Cgil».
A questa crisi di rappresentatività
della politica come si può rispondere?
«Non chiudendosi in un ghetto bensì
attraverso riforme del Paese e della politica che restituiscano
credibilità ai partiti. Le riforme messe in campo da Renzi vanno
sostenute perché corrispondono ad aspettative diffuse. Il successo
del premier, a partire dal 40% alle Europee, ha alla base una grande
domanda di cambiamento».
Alla minoranza del partito molte di
queste riforme non piacciono. E’ il Pd che da ditta si è
trasformato in caserma o sono loro che fanno opposizione politica e
non più di merito?
«Non faccio mai processi alle
intenzioni. Stiamo ai fatti. Il superamento del bicameralismo
paritario a vantaggio di una sola Camera e di un Senato delle
autonomie locali è una proposta che la sinistra sostiene da
quarant’anni anni. Il modello parlamentare tedesco è una nostra
battaglia da sempre».
Il problema per molti osservatori è il
combinato disposto con l’Italicum. Lei non vede rischi?
«Anche la legge elettorale
maggioritaria a doppio turno è una nostra battaglia e non da oggi.
Con questo Italicum il doppio turno è probabile se non quasi certo:
perché allora non va bene? Soprattutto, se oggi si propone il Senato
elettivo si torna indietro. E’ legittimo, ma il percorso delle
riforme si bloccherebbe, e non è questo che vogliono gli elettori
del Pd né tantomeno gli italiani».
La verità è che dentro il Pd da mesi
si litiga su tutto, dal Jobs Act alla scuola passando per
l’abolizione dell’articolo 18.
«Ancora: il Jobs Act è stato
presentato come la distruzione di ogni diritto, mentre io vedo nel
mercato del lavoro una dinamica nuova a favore del lavoro
indeterminato dopo vent’anni di precariato dilagante. E il
superamento dell’articolo 18? Se ci fosse stata un’ondata di
licenziamenti ingiustificati o discriminatori, l’avremmo saputo. Ma
anche sulla scuola, mi lasci dire che limitarsi a stabilizzare i
precari come chiedeva la sinistra Dem rinviando sine die la riforma
della didattica, sarebbe stato il modo più conservatore di
affrontare il problema».
Insomma, ritiene che le obiezioni della
minoranza siano pregiudiziali?
«Mi preoccupa un’opposizione interna
chiusa nel ghetto del rifiuto, che non si misura con i dati reali. Io
mi batto da tutta la vita per una sinistra che non abbia paura e
cerchi di cambiare il mondo. La sinistra nasce da un’intuizione
tuttora valida di Marx: è il movimento il motore della storia, è la
dinamica e non la conservazione dell’esistente. Oggi invece parte
della sinistra mette le mani avanti di fronte al cambiamento e così
si allontana dal sentiment della società».
Ha letto lo scambio di vedute tra
Staino e Gianni Cuperlo pubblicato sull’Unità?
«Sì. E ho trovato le ragioni di
Staino fondate, giuste. La risposta di Cuperlo, espressa con capacità
retorica e dialettica raffinata, era difensiva. Ma una sinistra
difensiva è destinata a essere sconfitta in un mondo veloce come
oggi. Se non guida il cambiamento sarà subalterna».
Si è evocata addirittura la scissione.
A settembre potrebbe finire così?
«Non lo credo e in ogni caso non me lo
auguro. Bisogna evitarlo, non è la soluzione. Sarebbe un danno per
chi la subisce ma soprattutto per chi la fa. Oggi, in questo clima di
ostilità dei cittadini, non c’è mercato per un nuovo partito.
Sarebbe un’operazione marginale e di pura nicchia. E poi si è
visto in Liguria a cosa porta dividersi»
Cosa fare allora?
«Siamo il partito di sinistra europeo
con più voti e più iscritti: discutiamo al nostro interno come
succede in Francia e Spagna e nel Labour britannico restando uniti».
Quindi pensa che si troverà un’intesa
sulla riforma costituzionale al Senato? Al momento le posizioni
sembrano distanti.
«Serve l’impegno di tutti per
trovare un punto di sintesi e incontro. Ma lo si troverà se si è
disposti a scommettere su politiche di cambiamento. Se invece
l’obiettivo è frenare, ridurre, limitare, allora perderemo
consenso nel Paese. E’ questo il vero pericolo».
Lei dopo le ultime amministrative ha
fondato in piemonte Futuro Democratico e ha invitato a una
riflessione critica. Crede che il Pd stia perdendo il radicamento?
«Ho sempre pensato che la credibilità
a livello locale del partito e dei suoi dirigenti sia fondamentale
per l’immagine del Pd. Conta la credibilità del leader, e Renzi ne
ha molta, ma poi i cittadini giudicano anche il partito che hanno
vicino ogni giorno o che li amministra. Altrimenti perché nello
stesso giorno avremmo preso il 40% dei voti e perso Livorno?».
C’è un corto circuito tra il
Nazareno e il territorio?
«Oggi il vero punto di debolezza del
Pd è il rischio di una divaricazione tra la sua politica nazionale e
la capacità del partito sui territori di incarnarla e farla vivere».
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