Corriere della Sera 11/08/15
di Luigi Accattoli
Nunzio Galantino è il segretario della
Cei ma non parla come un vescovo. Usa un linguaggio diretto, simile a
quello di papa Bergoglio quando grida «vergogna» per Lampedusa.
Anzi di più: se Bergoglio è schietto, Galantino è rude. La sua
cifra è quella del Papa dei poveri che per farsi capire non teme di
alzare i toni, o di mescolare i linguaggi, buttando là — poniamo —
che per essere buoni cattolici non bisogna fare figli «come i
conigli». Galantino taglia e cuce ma non lo fa per inesperienza
della vita o della lingua. Sta per compiere 67 anni, ha una laurea in
Filosofia e un dottorato in Teologia, ha scritto su Rosmini e
Bonhoeffer. Quando qualifica i politici che cavalcano la «paura
dell’invasione» come «piazzisti da quattro soldi» intende
affermare proprio questo. Non è un «errore comunicativo» come si
usa dire nei salotti che non frequenta: è un attacco frontale. Del
resto tornava dal Medio Oriente e parlava di richiedenti asilo per i
quali venerdì il Papa aveva detto che respingerli «è guerra, si
chiama violenza, si chiama uccidere». Con la stessa attitudine
combattiva con cui oggi sfida i Grillo e i Salvini, a fine luglio
aveva definito «pericolosa» e «ideologica» la sentenza della
Cassazione sull’Ici per le scuole paritarie. In maggio aveva
commentato così il referendum irlandese che introduceva le nozze
gay: «Prevale un delirio dell’emotività e un sonno della
ragione». Papa Bergoglio chiede ai vescovi italiani di parlare per
il «loro popolo» e di farlo con concretezza di riferimenti, in modo
che «il popolo capisca». Si direbbe che Galantino si diverta a
fornire esempi di quell’arte, sconosciuta all’Italia
ecclesiastica, e può capitare che qualche volta vada più in là del
maestro.
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