martedì 11 agosto 2015

LE RAGIONI DI NAPOLITANO


Sandro Albini
L'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una lettera a Scalfari, così riassume le motivazioni del suo appoggio al testo di riforma costituzionale in esame. Le argomentazioni sono del tutto convincenti e confermano anche da fonte autorevole la pretestuosità delle posizioni dei Bersani, Gotor, Corsini, Muchetti ecc.. I quali ben farebbero a raccogliere l'invito di Staino: rifugiarsi con i pensionati sulle panchine dei giardinetti. Ecco la parte di interesse del testo:
"Come si può ritenere che la riforma in discussione costituirebbe il "contrario", segnerebbe la fine, della democrazia parlamentare? La posizione in materia di revisione costituzionale che tu riconosci caratterizzarmi da molti anni, è in realtà quella propria di molte personalità politiche e istituzionali confluite nel centrosinistra. Voleva forse Leopoldo Elia "il contrario della democrazia parlamentare" quando propugnava "una nuova forma di governo parlamentare", vedendo nella "criticità dell'assetto costituzionale di vertice della Repubblica il punctum dolens più evidente"? O voleva forse il centrosinistra buttare a mare la democrazia parlamentare quando votò, nella Commissione bicamerale del 1997-1998, per il passaggio al "premierato", al governo cioè del primo ministro?
La questione essenziale è che non si lasci in piedi, attraverso l'elezione a scrutinio universale anche del Senato della Repubblica, la compresenza di due istituzioni rappresentative della generalità dei cittadini, sottraendo al Senato solo (e a quel punto insostenibilmente!) il potere di dare la fiducia al Governo. L'essenziale è dar vita a un nuovo Senato che arricchisca la democrazia repubblicana dando ad esso la natura di una istituzione finora assente che rappresenti le istituzioni territoriali. Altrimenti di fatto il superamento del bicameralismo paritario non ci sarebbe. Rimarrebbero intatti i fattori di fragilità e debole capacità deliberativa dell'esecutivo, si lascerebbe il paese in quell'assoluta incertezza e tortuosità dei percorsi di approvazione delle leggi, che ha offerto spinte e alibi al degenerativo precipitare del rapporto Governo-Parlamento nella spirale dei decreti legge, dei voti di fiducia, dei maxiemendamenti e articoli unici. È dunque in discussione non uno schema astratto di riforma o un qualche puntiglio politico, bensì una esigenza vitale per un valido funzionamento, specie nell'attuale fase storica, del sistema democratico italiano. Senza farsi dominare da quella "paura dei pericoli" (evocata in una guizzante definizione di Gramsci), che può solo far naufragare per l'ennesima volta nell'inconcludenza il necessario processo riformatore. Si tenga ragionevolmente conto di ciò, nella libertà di sollevare legittimamente, senza far polveroni, qualsiasi questione relativa a posizioni, questioni, modi di governare che riguardino il Presidente Renzi.

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