sabato 8 agosto 2015

In Siria il dovere di proteggere i cristiani perseguitati dallo stato islamico.


Corriere della Sera 08/08/15
Andrea Riccardi
Qaryatain è una cittadina, trovatasi a contatto con i territori dal sedicente califfato, dopo la presa di Palmira. Qui risiedeva una cospicua comunità cristiana di tutte le confessioni, ma soprattutto appartenenti alla Chiesa siriaca (del gruppo unito a Roma). In Siria, nonostante le differenze di tradizione e confessione, da secoli i cristiani non solo vivono tra loro, ma anche assieme ai musulmani negli stessi quartieri o villaggi. Il «califfato» ha cominciato a imporre la Sharia con durezza ai cristiani, discriminandoli e imponendo loro di pagare una tassa speciale. Anche la condizione di dhimmi , che riduce i cristiani a cittadini di serie B, non dà nessuna sicurezza di vita. Quindi, con l’estendersi della guerra, i cristiani sono assediati nelle città come Aleppo e hanno cominciato a muoversi dai villaggi. Non è facile orientarsi nell’intrico della guerra, tra mutevoli organizzazioni, nello spostamento delle aree di controllo, in un quadro di estrema violenza. Chi poteva ha abbandonato la Siria. Oggi però il Libano (che ha chiuso le frontiere ai profughi) smantella vari campi, lasciando all’aperto i rifugiati, musulmani o cristiani. Chi fugge non sa più dove andare. 
 I cristiani sono considerati «nemici» dagli estremisti islamici. E’ chiaro anche nel caso di Al Qaryatain. Gli uomini del «califfato» li hanno ricercati, casa per casa, seguendo una lista, come complici del regime alauita di Assad. Di fronte al caos della guerra, le autorità cristiane hanno guardato al regime come l’unica protezione possibile, criticando l’ostilità occidentale ad esso. Del resto, anche una personalità cristiana di altro sentire, come il gesuita Paolo Dall’Oglio, ostile al regime, è stata rapita dagli oppositori. Un altro sacerdote legato a Dall’Oglio, Jacques Murad, che risiedeva in un monastero vicino a Al Qaryatain (e lavorava per aiutare gli sfollati da Palmira), è stato rapito tre mesi fa. Da più di due anni non si hanno più notizie dei vescovi Mar Gregorios Ibrahim e Bulos Yazigi, che guidavano i cristiani siriaci e ortodossi ad Aleppo. Erano rispettati dal governo e avevano un’autorità morale nella regione. Sono scomparsi nel nulla. Altri religiosi, rimasti tra la gente, sono stati rapiti o uccisi. Sembra ormai impossibile o molto difficile per i cristiani vivere in larga parte della Siria. La loro condizione (e quella del Paese) pone alla comunità internazionale il problema della pacificazione, come un obiettivo prioritario su cui concentrare l’attenzione, al di là della ritualità degli incontri internazionali e delle azioni dell’Onu. 
 Esiste una seconda questione che i Paesi europei devono affrontare nel caso che la guerra si protragga: il futuro dei cristiani. Dove possono andare? Non riescono a sopravvivere nelle regioni controllate dalle organizzazioni islamiste. Ieri papa Francesco, in un messaggio ai cristiani del Medio Oriente, ha avuto parole forti: «La comunità internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine». Non c’è un dovere verso di loro? E’ vero: molti musulmani siriani e iracheni soffrono. Ma, per i cristiani, c’è una vera impossibilità a sopravvivere in terra islamista. La Francia ha accolto, lo scorso anno, alcuni cristiani iracheni. Il Belgio, recentemente, ha ricevuto 244 cristiani, trasferendoli da Aleppo. La solidarietà ai rifugiati cristiani è il minimo che si possa fare. E’ una domanda anche all’Italia.

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