Corriere della Sera 14/08/15
Monica Guerzoni
«Io farei anche il patto col
diavolo pur di avere le riforme costituzionali».
Anche con
Berlusconi, senatore Giorgio Tonini?
«Auspico un confronto anche
con Forza Italia. Le riforme sono l’interesse numero uno del Paese
e non possiamo permetterci un altro fallimento».
Lei è
vicecapogruppo del Pd, ha capito che i voti di Verdini non vi
bastano?
«Siamo disposti a fare questo ultimo miglio con
chiunque, perché sarebbe una follia mandare tutto in malora anche
questa volta. Vuole farle Grillo le riforme con noi? Vuole farle
Berlusconi? Noi ci stiamo».
L’accordo con Forza Italia passerà
attraverso un rimpasto?
«Vediamo. Per portare a termine le
riforme qualunque mezzo è possibile, però l’obiettivo deve essere
chiaro. Io penso a un confronto a tutto campo con tutti coloro che
sono disponibili, su una linea di chiarezza che non ci riporti
indietro e ci consenta di chiudere il percorso nel 2016».
Nuovo
patto del Nazareno o addirittura larghe intese?
«Questa
legislatura è cominciata con l’elezione di Napolitano e con il
governo Letta, un esecutivo di larghe intese tra Pd, centristi e
Forza Italia, che allora si chiamava Pdl. Quindi da parte nostra non
ci può essere nessuna preclusione».
La minoranza del Pd
sarebbe costretta alla scissione?
«Le riforme sono il tema della
legislatura e per arrivare al termine bisogna cercare una intesa
larga. È inutile rinfacciarsi a vicenda chi ha fatto gli accordi con
il centrodestra, tanto più che il primo in questa legislatura a fare
l’accordo con Berlusconi è stato Bersani attorno al governo
Letta».
La condizione dell’ex premier è sedersi al tavolo per
riformare la giustizia, dalle intercettazioni alla carcerazione
preventiva.
«Non so, leggo le indiscrezioni su giustizia e legge
elettorale... Ma la domanda va rivolta a chi ha avuto un
atteggiamento ondivago che non ha giovato alla credibilità
elettorale del centrodestra, uscendo dal governo Letta al prezzo
della scissione di Alfano, poi rientrando al tavolo delle riforme e
uscendone di nuovo con Mattarella. Bisogna capire cosa vuol fare
Berlusconi».
E se vi chiede l’elettività diretta dei
senatori?
«Se rimettiamo in discussione questi principi
ricominciamo da capo. Sulle riforme l’unica questione su cui si può
negoziare sono le competenze e qualche aspetto sulla modalità di
elezione dei senatori, che devono restare consiglieri regionali a
tutti gli effetti».
Su elettività e premio di coalizione può
saldarsi un asse tra Forza Italia e minoranza?
«Sì, un asse
nefasto per il Paese. Un conto è lavorare con l’avversario in nome
di una prospettiva che ci faccia andare avanti. Altra cosa è cercare
sponde per tornare indietro, a coalizioni capaci di vincere ma non di
governare, come negli anni di Berlusconi e Prodi».
La minoranza
del Pd teme l’uomo solo al comando.
«Impedire l’eccesso di
concentrazione del potere è un po’ come avere paura delle
alluvioni in mezzo al Sahara. Dal 2005 a oggi la cancelliera Merkel
ha visto passare qualcosa come sette, otto governi italiani. La
battuta che fanno i ministri tedeschi al loro collega italiano,
quando arriva la prima volta, è “Ma lei quanto dura?”».
La
domanda è quanto dura Renzi senza voti al Senato.
«Non mi
rassegno a credere che la maggioranza dei senatori voglia affossare
la legislatura. Vorrebbe dire che la malattia dell’Italia è
davvero inguaribile».
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