sabato 15 agosto 2015

«Folle mandare in malora le riforme. Questa è la legislatura delle larghe intese».


Corriere della Sera 14/08/15
Monica Guerzoni

«Io farei anche il patto col diavolo pur di avere le riforme costituzionali». 
 Anche con Berlusconi, senatore Giorgio Tonini? 
 «Auspico un confronto anche con Forza Italia. Le riforme sono l’interesse numero uno del Paese e non possiamo permetterci un altro fallimento». 
 Lei è vicecapogruppo del Pd, ha capito che i voti di Verdini non vi bastano? 
 «Siamo disposti a fare questo ultimo miglio con chiunque, perché sarebbe una follia mandare tutto in malora anche questa volta. Vuole farle Grillo le riforme con noi? Vuole farle Berlusconi? Noi ci stiamo». 
 L’accordo con Forza Italia passerà attraverso un rimpasto? 
 «Vediamo. Per portare a termine le riforme qualunque mezzo è possibile, però l’obiettivo deve essere chiaro. Io penso a un confronto a tutto campo con tutti coloro che sono disponibili, su una linea di chiarezza che non ci riporti indietro e ci consenta di chiudere il percorso nel 2016». 
 Nuovo patto del Nazareno o addirittura larghe intese? 
 «Questa legislatura è cominciata con l’elezione di Napolitano e con il governo Letta, un esecutivo di larghe intese tra Pd, centristi e Forza Italia, che allora si chiamava Pdl. Quindi da parte nostra non ci può essere nessuna preclusione». 
 La minoranza del Pd sarebbe costretta alla scissione? 
 «Le riforme sono il tema della legislatura e per arrivare al termine bisogna cercare una intesa larga. È inutile rinfacciarsi a vicenda chi ha fatto gli accordi con il centrodestra, tanto più che il primo in questa legislatura a fare l’accordo con Berlusconi è stato Bersani attorno al governo Letta». 
 La condizione dell’ex premier è sedersi al tavolo per riformare la giustizia, dalle intercettazioni alla carcerazione preventiva. 
 «Non so, leggo le indiscrezioni su giustizia e legge elettorale... Ma la domanda va rivolta a chi ha avuto un atteggiamento ondivago che non ha giovato alla credibilità elettorale del centrodestra, uscendo dal governo Letta al prezzo della scissione di Alfano, poi rientrando al tavolo delle riforme e uscendone di nuovo con Mattarella. Bisogna capire cosa vuol fare Berlusconi». 
 E se vi chiede l’elettività diretta dei senatori? 
 «Se rimettiamo in discussione questi principi ricominciamo da capo. Sulle riforme l’unica questione su cui si può negoziare sono le competenze e qualche aspetto sulla modalità di elezione dei senatori, che devono restare consiglieri regionali a tutti gli effetti». 
 Su elettività e premio di coalizione può saldarsi un asse tra Forza Italia e minoranza? 
 «Sì, un asse nefasto per il Paese. Un conto è lavorare con l’avversario in nome di una prospettiva che ci faccia andare avanti. Altra cosa è cercare sponde per tornare indietro, a coalizioni capaci di vincere ma non di governare, come negli anni di Berlusconi e Prodi». 
 La minoranza del Pd teme l’uomo solo al comando. 
 «Impedire l’eccesso di concentrazione del potere è un po’ come avere paura delle alluvioni in mezzo al Sahara. Dal 2005 a oggi la cancelliera Merkel ha visto passare qualcosa come sette, otto governi italiani. La battuta che fanno i ministri tedeschi al loro collega italiano, quando arriva la prima volta, è “Ma lei quanto dura?”». 
 La domanda è quanto dura Renzi senza voti al Senato. 
 «Non mi rassegno a credere che la maggioranza dei senatori voglia affossare la legislatura. Vorrebbe dire che la malattia dell’Italia è davvero inguaribile». 


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