Corriere della Sera 02/08/15
corriere.it
L’INTERVISTA CARLO MESSINA, CEO DI
INTESA
Le banche, per certi versi, sono una
specie di termometro. Misurano il clima dell’economia, le
difficoltà o lo stato di salute dei loro clienti. Così ascoltare
l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, dà
l’idea di come l’Italia, nonostante tutto, si sia rimessa in
moto. «Siamo fuori dalla crisi. I segnali vanno tutti in questa
direzione...».
Le stime, da Bankitalia a Confindustria,
segnalano una crescita possibile tra lo 0,7 e l’1 per cento...
«Vedo che il Paese accelera. E il rialzo delle stime del Pil ne è
una prova evidente. Euro ai minimi, petrolio a questi livelli, tassi
e spread molto bassi. Lo dico dalla fine del 2014 che questo sarebbe
stato l’anno della svolta, un anno che non può essere
sprecato...».
Un banchiere ottimista non è così frequente da
incontrare...
«Guardi, noi intermediamo ogni giorno transazioni
degli italiani per 20-25 miliardi di euro: famiglie, imprese,
multinazionali, istituzioni. Dalla fine dello scorso anno vediamo
segnali positivi: ad esempio, l’onda delle sofferenze, cioè i
crediti che le imprese in difficoltà fanno fatica a restituire, si
sta riducendo in misura rilevante. Vediamo anche che le imprese hanno
ricominciato ad investire. E non soltanto quelle più orientate
all’export ma anche quelle più legate alla domanda interna. La
svolta insomma c’è stata. Un trend che non è più in
discussione».
Anche il vostro peso nel mercato riflette questo
clima.
«Mi pare molto importante, anche simbolicamente, che
Intesa Sanpaolo si contenda testa a testa la posizione del primo
titolo per capitalizzazione della Borsa italiana con l’Eni,
storicamente al primo posto. Un fatto rilevante anche per il Paese:
noi non produciamo auto o beni di lusso, ma siamo l’infrastruttura
finanziaria dell’economia reale e ci sentiamo l’espressione della
sua ripresa in questa fase. Un dato: con una capitalizzazione salita
da 26 a circa 58 miliardi, siamo molto più avanti di grandi istituti
europei considerati più blasonati».
Ormai gli investitori
internazionali sono oltre 50%.
«Per la verità sono arrivati al
60% del capitale, da circa il 40% di un 18 mesi fa. In termini reali,
al netto della performance del titolo, la cifra impegnata dall’estero
sulle nostre azioni oscilla tra i 7,5 e i 10 miliardi di euro, la più
elevata in valori assoluti. Questo significa che gli investitori
esteri credono nelle potenzialità del nostro Paese. In fondo, noi
come banca siamo l’espressione della forza dell’economia reale,
della sua intatta capacità di crescere e competere. In passato, le
grandi aziende quotate italiane trattavano “a sconto” per via
della debolezza del Paese; oggi, al contrario, c’è un visibile
“premio Italia” per chi, come noi, valorizza la forza del nostro
sistema produttivo. C’è grandissimo interesse da parte di
investitori Usa e asiatici. E c’è un elemento che non
sottovalutato...».
Quale?
«Il risparmio degli italiani».
Detto da un banchiere è facile...
«Viene considerato un dato
acquisito, ma non lo è. Il risparmio degli italiani è “tripla A”.
Siamo secondi al mondo, dopo i giapponesi, per capacità di
risparmio. Noi, come Intesa Sanpaolo per raccolta netta di risparmio
gestito in Europa siamo secondi solo a BlackRock, leader mondiale del
settore, con la differenza che noi raccogliamo solo in Italia, loro
in tutto il continente. Se al risparmio, nelle sue varie forme,
aggiungiamo i depositi gestiamo 850 miliardi di euro».
Vero. Ma
anche il nostro debito pubblico è da record, viaggia ben oltre i
duemila miliardi.
«Tutti enfatizzano questo aspetto. Però, più
che rispetto al PIL il debito pubblico andrebbe commisurato agli
attivi di cui il Paese dispone: risparmi e patrimonio immobiliare
delle famiglie ad esempio, che valgono nell’insieme circa 10
trilioni di euro. Una ricchezza tra le più consistenti a livello
mondiale. E il confronto sarebbe così più realistico. Il risparmio
è un pilastro fondamentale della nostra economia: dovremmo
ricordarcelo più spesso».
Forse ora bisognerebbe anche
consumare un po’ di più.
«Noi vediamo che c’è una fascia
di classe media che continua a risparmiare ma che, in questa fase di
fiducia ritrovata, sta ricominciando anche a comprare. Una spinta ai
consumi che renderà più forte la ripresa».
È finito il credit
crunch?
«Per quello che ci riguarda non abbiamo mai chiuso le
porte del credito. Quest’anno, nel primo trimestre abbiamo concesso
8 miliardi di credito a medio lungo termine, nel secondo 11 per un
totale di 19 miliardi. In tutto il 2014 i miliardi erogati erano
stati 27. C’è una forte crescita della domanda di credito. Noi, da
soli, garantiamo finanziamenti all’economia quanto tutte le altre
banche italiane. E nel 2015 supereremo la soglia prevista di 37
miliardi».
Sì, ma molte aziende sono ancora in difficoltà, i
crediti a rischio hanno raggiunto la quota record di 320 miliardi di
euro a livello di sistema.
«Come dicevo, il flusso degli incagli
e delle sofferenze sta calando in modo molto significativo. Come
Intesa Sanpaolo ci siamo impegnati in modo particolare a riportare le
aziende in bonis: nel primo semestre di quest’anno ne abbiamo
recuperate 8.500, in un anno e mezzo circa 17.500. Significa tutelare
200.000 posti di lavoro, secondo alcune stime. Cerchiamo quindi di
offrire un sostegno concreto all’economia del Paese. Certo, la
riforma del mercato del lavoro con il Jobs act è certamente un fatto
importante per l’occupazione, ma anche le scelte di una banca come
la nostra possono essere decisive».
Ma gli azionisti?
«Un’istituzione come Intesa Sanpaolo deve creare valore per i soci
ma anche per il Paese. Abbiamo l’orgoglio di essere tornati leader.
Lo vedo qui in Banca, il coinvolgimento di tutte le persone impegnate
in un progetto che le riguarda. Tutte».
Lei dice che i
risparmiatori si sentono più sicuri. E la casa? Come va il mercato
immobiliare?
«Con lo spread impazzito a oltre 500 punti era
difficile fare qualunque ragionamento. Chi possedeva titoli di Stato
non poteva venderli se non al prezzo di perdite elevate. Con lo
spread a livelli normali, anche il patrimonio finanziario delle
famiglie ha recuperato valore. E questo sta rimettendo in moto un
circolo virtuoso. Lo vediamo da come crescono i mutui, a ritmi che
non si vedevano da anni. Anche per le banche, peraltro, la
rivalutazione degli immobili ha un impatto importante sui conti. Lo
ripeto, il clima è cambiato».
Ma la Grecia è ancora lì, il
salvataggio è solo agli inizi.
«Con il quantitative easing di
Mario Draghi e della Bce non poteva esserci una soluzione diversa. La
speculazione ha potuto fare poco. E anche i rischi di contagio sono
stati effettivamente ridotti. Sa che cosa è cambiato?».
No,
dica...
«Gli investitori internazionali hanno fiducia che ora in
Italia le cose si cominciano a realizzare. Che le riforme si
cominciano a fare. Da questo punto di vista il Governo sta lavorando
bene».
Entrerete nel fondo salva imprese?
«Non abbiamo
ancora visto i piani. Quando vedremo, faremo le nostre valutazioni».
La bad bank?
«La bad bank può essere uno strumento, ma non
mi sembra la priorità. Quello che conta è avere regole che
funzionino: poter recuperare un credito in tre anni anziché in
sette, oppure dedurre fiscalmente le perdite in un solo anno invece
che in 18. Queste innovazioni sono state introdotte, e produrranno
effetti positivi».
Come vanno i rapporti con il nuovo
supervisore, la Bce?
«Siamo soddisfatti, abbiamo stabilito una
relazione molto positiva, basata sul reciproco rispetto. E la Banca
d’Italia ha svolto un grande lavoro che va riconosciuto».
Intesa Sanpaolo ha appena deciso l’addio al duale.
«Se la
banca ha avuto successo ciò si deve anche a un sistema di governance
che ha funzionato bene. Poi ci sono le persone, e da questo punto di
vista il merito del professor Bazoli è indiscusso: un protagonista
della storia economica del Paese e il principale artefice della
creazione di Intesa Sanpaolo, oggi una delle banche più forti a
livello internazionale. Negli ultimi tre anni il Consiglio di
Gestione è stato guidato con grande competenza e equilibrio dal
professor Gros-Pietro, col quale c’è grande sintonia».
C’è
un gran movimento nelle Popolari.
«Sì, lo vedo, ma non ci
riguarda. I nostri progetti di crescita sono rivolti all’estero, in
particolare nel private banking e nel risparmio gestito. Stiamo
aprendo una sede a Londra e rafforzeremo la nostra presenza in
Svizzera».
Siete usciti da Telecom. Avrete un ruolo nella banda
larga?
«Come finanziatori, se ce lo chiederanno, sì. Dopo aver
esaminato la validità dei progetti».
Le autostrade?
«Le
quote che deteniamo verranno dismesse».
Rcs?
«Fa parte
delle partecipazioni che saranno cedute durante l’arco del nostro
piano di impresa, cioè entro il 2017».
I dividendi?
«Abbiamo annunciato un piano di dieci miliardi in quattro anni. Lo
rispetteremo».
Come si trova con le fondazioni-socie?
«Hanno
assicurato stabilità e una prospettiva serena, essenziale per
realizzare i nostri progetti. Sono state decisive per l’aumento di
capitale del 2011. E noi abbiamo ripagato quella fiducia con le
cedole e con l’andamento del titolo».
In base agli accordi con
il Tesoro Compagnia San Paolo, Firenze, Bologna e Cariparo dovranno
cedere alcune quote.
«Hanno tre anni di tempo».
Non ci
saranno difficoltà a collocarle...
«Credo proprio di no. Chi
investe su di noi investe sull’Italia e oggi sono in molti a
volerlo fare. La nostra è una Banca solida, profittevole e in grado
di crescere. Basata principalmente in un Paese finalmente in
ripresa».
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