Pierluigi Castagnetti
L'Unità 18 agosto 2015
«Snaturamento? C’è un’aggressione costante al nostro partito
delle destre politiche, massmediatiche ed economiche, che ne dimostra
l’alterità».
Intervista a Pierluigi Castagnetti
«L’intervento di Alfredo Reichlin su l’Unità sposta
finalmente i termini del confronto interno». Pierluigi Castagnetti,
ex segretario Ppi, fondatore della Margherita, cofondatore del Pd,
oggi sarà a Pieve Tesino, paese natale di Alcide De Gasperi in
occasione del 61° anniversario della morte, per ascoltare la Lectio
Magistralis di Monsignor Nunzio Galantino. Poi, inizieranno le sue
vacanze, in montagna come sempre. Camminate, buone letture, musica
jazz e buona cucina, ma per Castangetti – «il Professore», come
tutti lo chiamano in Parlamento (anche oggi che parlamentare non è
più), per le sue analisi mai scontate, argute, che non fanno sconti
a nessuno – quello che accade nel suo partito è una autentica
preoccupazione. «La scissione non può essere una ipotesi sul campo.
Scindersi per fare cosa, per andare dove?».
Castagnetti, Reichlin ritiene inutili gli appelli a
restare uniti nel Pd se non si apre una vera discussione su dove va
il partito e dove si vuole che vada il Paese. È da qui che bisogna
ripartire?
«Reiclhin con lo spessore di sempre, sposta i termini del
discorso. Riconosce che il problema del Pd non è rappresentato dalle
riforme, che sono sicuramente importanti, sa non è lì che si annida
la tentazione della scissione. Il problema è un altro: dove va il
Pd, dove l’Italia e dove l’Europa? Sono interrogativi seri, sui
quali un partito come il nostro deve confrontarsi. Chi comanda oggi
in Europa? Non dimentichiamoci che il Pd è nato su una piattaforma
che metteva al centro il modello europeo e nel momento in cui quel
modello entra in crisi, scendono in campo contraddizioni che
rischiano di collidere».
Eppure in questo momento il Pd rischia di implodere sul
Senato elettivo
«A me sembra che in un contesto come quello che stiamo vivendo, a
livello europeo e internazionale, la prospettiva di una scissione
sembra davvero fuori dalle cose, sarebbe drammatica non solo per il
Pd ma per la sinistra stessa. Sarebbe il segno di una incapacità a
reggere i processi di modernizzazione del Paese e della politica che
sono ineludibili. Chi vuole uscire dal partito deve dirci dove vuole
andare e con chi».
Nel Pd c’è chi teme uno spostamento a destra, quella
meno indigesta, come la definisce Reichlin, ma sempre destra. Lei non
vede questo rischio?
«Ma come si fa ad accusare la maggioranza del partito di virare a
destra? C’è un’aggressione costante al nostro partito delle
diverse destre, politiche, massmediatiche ed economiche che ne
sottolineano l’alterità».
Torno a porle la questione: lei crede che ci siano le
condizioni per spostare l’asse del dibattito interno?
«Credo di sì. Allarghiamo questo dibattito come ci invita a fare
Reichlin che propone una preoccupazione più ampia, per l’Europa.
Oggi in quella sede si sta ponendo un problema di ridefinizione della
propria identità politica, del suo ruolo nello scenario
internazionale, di democrazia interna. Si stanno sottovalutando i
rischi che stanno attentando al disegno stesso di democrazia europea
e il maggiore di questi risiede nella regressione nazionalista.
Mitterand nel suo intervento al Parlamento europeo, prima di morire,
disse: “Le nationalisme c’est la guerre”».
Non è ancora una volta nella politica che va ricercata la
responsabilità di questa grave crisi identitaria che attraversa
l’Europa. I cittadini europei credono sempre meno nell’Europa e
nella politica. E il Pd, essendo il più grande partito italiano
e il maggiore azionista del Pse, che ruolo può avere?
« Prima di tutto dobbiamo capire dove sono le ragioni di questa
involuzione europea. Oggi molti studiosi francesi, di formazione
marxista, parlano di “ordoleaderismo”, cioè del leaderismo
dell’ordinamento costituzionale. Se ci troviamo davvero di fronte a
ciò è perché la politica non è riuscita a definire un governo
politico dell’Europa al quale si è invece sostituita una
costituzione economica che blocca la democrazia europea e costringe
le costituzioni dei vari Paesi membri a modificarsi per seguire le
sue indicazioni. Bisogna dunque capire da che parte riprendere il
bandolo della costituzione europea. Abbiamo pensato anche noi di
sinistra che il problema dell’Italia si risolvesse con la
collocazione nel Pse, ma non è quella la strada. Riprendiamo il
metodo con il quale i vecchi padri fondatori hanno cominciato a
tessere la tela, facciamo accordi con i Paesi che condividono le
stesse preoccupazioni, Italia, Francia, Spagna, Belgio, Grecia e la
Germania dove si sta aprendo un dibattito molto serio. Joschka
Fischer, leader dei verdi tedeschi, ex ministro degli Esteri, fa una
proposta su cui vale la pena ragionare: si coinvolgano i parlamenti
nazionali per dar vita a una sorta di Camera formata dalle
delegazioni parlamentari dei vari Paesi per capire come uscire da
questa prigionia ordoleaderistica».
Lei sembra dire alla minoranza Pd, “ma dove andate fuori
dal Pd?”. Io le chiedo: ma come fanno a restare visto il muro
contro muro di queste ultime settimane?
«Reichlin dice: “iniziamo a parlare di questa Italia”. E
dicendolo mette il dito nel fallimento della Seconda Repubblica: non
siamo riusciti a fare riforme costituzionali che dessero stabilità
dei governi e del sistema. Da questo punto di vista non si può
liquidare con leggerezza l’intervento di Giorgio Napolitano che
proprio alle riforme aveva legato il suo secondo mandato. Il problema
non è quello dell’uomo solo al comando, ma quello di dare
stabilità a questo Paese».
Nessun commento:
Posta un commento