domenica 30 agosto 2015

«La Ue investa di più. Con Renzi e Hollande un patto per la crescita».


Corriere della Sera 29/08/15
Federico Fubini
L’intervista Pedro Sánchez
Madrid. A 43 anni, Pedro Sánchez ha l’occasione della vita. Economista universitario, l’anno scorso ha vinto le primarie del partito socialista spagnolo e ora è testa a testa nei sondaggi con i popolari del premier Mariano Rajoy. Probabilmente si voterà a inizio dicembre e al Consiglio europeo di fine anno potrebbe essere Sánchez a rappresentare il suo Paese. Sta già lavorando al programma: punta a un’alleanza con l’Italia e la Francia perché, dice, non serve a nessuno «un’Europa tedesca». Sánchez ne parla all’aeroporto di Madrid Barajas, in partenza per il Messico. Ha smesso da un pezzo di vestire da politico del ‘900: preferite maglietta e scarpe da jogging. Ma le sue spiegazioni arrivano scandite, cartesianamente, per punti. 
 Le migrazioni continuano a mettere i governi europei alla prova. Tutti dicono che serve «più Europa», che vuol dire? 
 «Questi rifugiati in arrivo dalla Siria, dall’Iraq o dall’Afghanistan non sono un problema: sono cittadini minacciati nei loro diritti fondamentali, perché vengono da realtà drammatiche e dalla guerra. L’Europa dev’essere all’altezza». 
 Sì, ma in concreto cosa significa? 
 «Che gli Stati europei devono essere coscienti che il diritto di asilo e lo status di rifugiato non è solo un obbligo morale. È una responsabilità giuridica. Abbiamo firmato la Convenzione di Ginevra e il Protocollo di New York sul diritto d’asilo. E questo è il punto uno. Due: gli Stati membri non si sono dimostrati all’altezza. L’Italia e la Grecia sì, perché sono più esposti. Però diciamocelo: il resto dei Paesi europei, e in particolare la Spagna, no». 
 Come premier, sarebbe disposto a spiegare agli elettori che devono accogliere 40 mila o 50 mila persone, in base a un sistema europeo di quote? 
 «Una politica di asilo comune è necessaria. La proposta della Commissione, insufficiente per il numero, è giusta: una politica di quote, in modo che gli Stati membri siano solidali. E credo proprio che la Spagna debba essere più solidale di quanto stia proponendo il governo, disposto ad accogliere poco più di 2.500 persone. Ma più in generale, dobbiamo avere tre punti fermi: il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti; il rispetto da parte dei migranti per lo Stato di diritto delle società nelle quali si inseriscono. Terzo, dobbiamo lottare contro le mafie che trafficano in esseri umani». 
 La Spagna cresce al 3%. Dunque, sotto la guida del suo avversario Rajoy, deve aver fatto bene qualcosa. Cosa? 
 «Metà della crescita si spiega con fattori esterni: la caduta del prezzo del petrolio, la nuova politica espansiva della Bce e la creazione dell’unione bancaria, che ha migliorato le condizioni di finanziamento. Questo ha permesso che poco a poco si recuperasse un po’ di credito per famiglie e imprese». 
 L’Italia ha avuto gli stessi benefici, eppure cresce un quinto della Spagna. Perché? 
 «Ogni Paese ha la sua struttura. Noi abbiamo avuto un’estate record di turisti. Ma ora il Fmi avverte che in Spagna, se non si affronta una modernizzazione, nei prossimi anni la crescita probabilmente calerà. E resteranno livelli di disoccupazione intollerabili. Credo che dobbiamo puntare a guadagnare competitività non con il basso costo del lavoro, come ha fatto il Partido popular, ma con l’innovazione, la scienza, l’istruzione. Dobbiamo competere nel mondo facendo prodotti migliori, non prodotti meno cari. E dobbiamo migliorare la concorrenza nel mercato interno, liberalizzare. Anche per correggere una realtà di oggi: la Spagna è seconda in Europa per l’intensità delle diseguaglianze». 
 Cosa pensa del Fiscal Compact europeo? 
 «Che per risanare i conti fa più un punto di crescita del Pil, che tutta la politica di aggiustamenti e tagli che stiamo subendo. Basta guardare quello che ha fatto Obama: una politica di bilancio espansiva, una politica monetaria espansiva, e ora gli Stati Uniti hanno messo la crisi alle spalle». 
 Se sarà eletto, con chi pensa di lavorare per portare avanti questa agenda? 
 «Italia, Francia e Spagna possono essere i leader per una ripresa economica giusta. Credo che la posizione della Commissione di sostenere la domanda interna con più investimenti, con il piano Juncker, e anche la linea espansiva della Bce vadano in questo senso. Ora dobbiamo continuare». 
 Per esempio raddoppiando o triplicando il piano Juncker, oggi da 315 miliardi? 
 «Sì, sì. La lezione della Grecia è che i Paesi devono fare le loro riforme, specie nell’amministrazione e nella lotta all’evasione. Ma dobbiamo anche andare verso una maggiore integrazione. Condivido le posizioni di Renzi e Hollande. Serve una maggiore integrazione dei nostri sistemi bancari perché non ha senso che nell’area euro, in funzione della nazionalità dell’impresa, ci siano costi di finanziamento più o meno alti. E serve un’unione economica con un vero bilancio: il piano Juncker può esserne l’embrione. Come europei abbiamo anche bisogno di entrate europee per finanziare beni pubblici europei, per esempio sulle infrastrutture. E dobbiamo pensare all’obbligo democratico di render conto delle decisioni. Ci sono idee interessanti su un parlamento dell’area euro». 
 Certi suoi punti sono molto lontani dalla visione tedesca. È pronto ad affrontare tensioni politiche in Europa? 
 «Mi è sempre piaciuta la frase di Kohl, al momento dell’unificazione tedesca. Parlò di una Germania europea e non di un’Europa tedesca. Credo sia importante che i nostri colleghi tedeschi siano consapevoli che il loro avanzo nei conti con l’estero si spiega perché ci sono deficit commerciali in altre parti della zona euro. Bisogna riequilibrare, e sono convinto che i tedeschi capiranno che abbiamo bisogno di una politica economica a beneficio del complesso dell’area. Ne ho parlato molto con Renzi, anche lui è sulla linea di una maggiore integrazione». 
 Ma la famiglia socialista è in difficoltà quasi ovunque in Europa. Qual è il problema? 
 «Be’, stiamo a vedere. Credo che il cambiamento in Europa avrà un sapore iberico. Ci sono elezioni in Portogallo il 4 ottobre e a dicembre probabilmente si vota in Spagna e noi socialisti siamo ben messi per vincere in entrambi i Paesi. È importante che noi socialisti non parliamo solo di redistribuzione, ma di crescita. Avere un’agenda di competitività è fondamentale. Ma dobbiamo anche parlare di giustizia, perché oggi c’è una classe media lavoratrice che sente che i costi della crisi sono caduti solo sulle sue spalle». 
 Su questi temi i cosiddetti «populisti» vi fanno concorrenza. 
 «Sì, ma quando le socialdemocrazie hanno dato battaglia, i populisti hanno perso consenso. Non appartenere a famiglie politiche con un retroterra alla fine ti porta sempre a prendere posizioni anti-europee. Al di là dei discorsi sul recupero di sovranità che può fare Beppe Grillo o il Front national o Podemos, o Tsipras nella prima versione, la lezione della vicenda greca è che è vero il contrario: per recuperare potere di decisione dentro il tuo Paese, devi condividere sovranità fuori. L’Europa continua a essere la soluzione, no?». 
 Per questo Podemos è in calo nei sondaggi? 
 «Rispecchia i fatti in Grecia. Il terzo pacchetto di salvataggio ha lasciato Podemos con pochi argomenti».

Nessun commento:

Posta un commento