venerdì 21 agosto 2015

Meeting, meno palcoscenico. Cl vuole ripartire dal basso.


Corriere della Sera 21/08/15
Dario Di Vico
Per dirla con le parole del leader del movimento, don Julian Carrón, i tempi dell’«egemonia» sono lontani. Si è aperto ieri il meeting di Comunione e liberazione a Rimini e per la creatura di Don Giussani è tempo di bilanci. L’egemonia nel lessico di Carrón è contrapposta alla «testimonianza» e il sacerdote spagnolo usò questi termini nel 2012 ai tempi delle inchieste giudiziarie su Roberto Formigoni. Già allora era un invito pressante a tornare alle opere, all’impegno religioso e al welfare dal basso, ma francamente può esistere una Cl troppo simile a una Onlus? Nata nel ‘68 come reazione al «nichilismo della protesta» può vivere senza gettarsi nella mischia politica? Per ora facendo di necessità virtù il movimento si è dato questo obiettivo. Non esistono più numi tutelari del calibro di Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi e nel frattempo anche Formigoni, il più visionario dei politici ciellini, ha dovuto ridurre drasticamente il raggio d’azione. Di conseguenza il sentimento pubblico del meeting è molto istituzionale, si invita l’inquilino di Palazzo Chigi perché il confronto con l’amministrazione è necessario, lo si fa con lealtà e senza particolare enfasi. 
 La verità è che dopo aver gravitato per la maggior parte della sua storia attorno al centrodestra oggi per Cl insistere è più difficile. L’ascesa di Matteo Salvini rende tutto più arduo perché fin quando la Lega presenta il volto moderato di Bobo Maroni e Luca Zaia è la benvenuta ma se cede al lepenismo entra in rotta di collisione con la cultura ciellina. 
 Una Cl più istituzionale e più responsabile sconta la consapevolezza di non poter dare più le carte come una volta. La staffetta tra Formigoni e Maurizio Lupi non è riuscita e oggi è persino difficile individuare figure politiche di peso sulle quali investire. Ovviamente una Cl né progressista né conservatrice semina qualche dubbio in chi la segue con simpatia da anni. Maurizio Sacconi, ad esempio, sostiene che il movimento di Don Giussani: «O è impegno o non è, a partire dal campo dell’educazione. Se finisse a negoziare i principi che non sono negoziabili verrebbe meno alla sua storia». Nelle parole dell’ex ministro si sente l’eco delle polemiche interne al mondo cattolico, sorte quando Cl decise di non partecipare all’ultimo Family day romano beccandosi l’accusa di opportunismo. 
 A complicare il quadro ci sono anche i fenomeni di corruzione. In Lombardia le inchieste giudiziarie alla fine hanno ridimensionato la forza di Formigoni e il coinvolgimento della cooperativa La Cascina nel processo di Mafia Capitale certo non giova alla reputazione ciellina. Non è un caso che anche ieri l’ Avvenire , il quotidiano dei vescovi, intervistando uno dei dirigenti del meeting, Roberto Fontolan, gli abbia rivolto una domanda sulla corruzione. E così come aveva fatto in precedenza don Carrón la risposta è stata di quelle che tutte le organizzazioni del mondo danno in questi casi ovvero che le responsabilità ricadono sui singoli e non sulla struttura. La fine dell’egemonia la si paga anche con il dileguarsi di alcune aziende e banche che prima erano più vicine al movimento: sempre Avvenire ha messo in luce come sia diminuito il numero degli sponsor del Meeting 2015. Anche la Compagnia delle Opere che in un recente passato aveva coltivato l’ambizione di giocare un ruolo nel puzzle della rappresentanza delle Pmi, oggi le ha dovute deporre o ridimensionare. Il calo di egemonia è amplificato, infine, dal fatto che temi cari al movimento come la sussidiarietà e il federalismo siano usciti, per effetto della crisi ma non solo, dall’agenda delle priorità nazionali. 
 Ma perché don Carrón centri l’obiettivo che si è dato non basta ridurre la politica, occorre far riscoprire all’organizzazione la dimensione religiosa e reinsediarla nelle opere di testimonianza. Ce la farà? Per rispondere bisogna partire dai rapporti con il Vaticano. Sotto i papati di Wojtyla e Ratzinger la sintonia intellettuale e militante è stata forte. Ora davanti al fenomeno di papa Francesco i ciellini sono cauti: molto attenti a sottolineare le visioni comuni con Don Giussani e a rilanciare le parole del Pontefice agli 80 mila aderenti che gremivano piazza San Pietro lo scorso 7 marzo. In primis il richiamo all’importanza dei libri di «Don Gius» e quell’invito «a tenere vivo il fuoco e non adorare le ceneri» che li ha comunque rincuorati. 
 Resta la dimensione sociale. Secondo Emanuele Polizzi, autore con Alberta Giorgi di un recente studio su Cl, il movimento non avrà problemi a ricentrarsi, «l’ha già fatto altre volte mettendo in mostra grande capacità nel mutare le strategie a seconda della stagione che si apriva». Quanto al rischio che le dinamiche di secolarizzazione, dallo strapotere della tecnologia ai temi del sesso, possano mettere in difficoltà il popolo di Cl, Polizzi sostiene che il movimento è allenato a reggere l’urto della modernità. «È nel loro Dna, ciò che per loro garantisce l’integrità della fede non è tanto ciò che si fa e come lo si fa ma l’appartenenza stessa al movimento» .

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