David Sassoli
L'Unità 20 agosto 2015
Non ci sono muri che tengano, non c’è filo spinato, barriere,
eserciti o milizie che possano fermare chi fugge dalla guerra, dalla
fame o dalla persecuzione. Ieri in Macedonia, come da tempo al largo
di Lampedusa, al confine di Ventimiglia, a Calais o nell’Isola
greca di Kos masse di profughi premono per entrare in Europa:
chiedono un futuro senza guerra o fame per sé e per i propri figli.
Chiedono di noi. Chiedono aiuto all'Europa. A chi altri, d'altronde,
dovrebbero rivolgersi le famiglie scappate dalla Siria e raccolte nel
campi della Turchia, del Libano o della Giordania?
Parliamo
di milioni di persone. E veramente pensiamo che basti qualche
urlaccio becero di Salvini a fermarli? Veramente pensiamo che il
disgraziato muro che stanno erigendo gli ungheresi ai loro confini
possa scoraggiarli? Siamo di fronte ad una questione epocale, che sta
segnando e segnerà per sempre la storia di questi anni e a cui
dobbiamo dare una risposta. Soprattutto organizzativa, se non
vogliamo essere travolti da uno spirito xenofobo che alimenta paure e
scuote i sistemi democratici europei.
Siamo
dentro una grande battaglia politica e non dobbiamo sottovalutarla:
da una parte ci siamo noi, il nostro governo, le forze europee
progressiste e le diffuse esperienze del volontariato; dall'altra,
quelli dei muri e dei fili spinati.
Il
richiamo della Chiesa di Roma è una grande chance perché ci
costringe ad alzare lo sguardo e a riempire di contenuti una politica
europea che spesso si accontenta di piccoli passi. Quello che in
queste ore avviene Macedonia è un’altra pagina di un dramma che si
ripete da tempo con le stesse modalità. Ma è in Europa, e nelle sue
istituzioni, il vero campo della nostra battaglia. Se in Italia
servono nuove modalità organizzative per garantire dignità alle
persone che arrivano, a Bruxelles la sfida riguarda il trasferimento
della politica dell'immigrazione dal piano nazionale a quello
europeo. L'Unione europea non può essere solo vincoli economici e
pareggio di bilancio. Soltanto con più Europa potremmo affrontare
sfide globali. Le resistenze non mancano e sono robuste, ma non
partiamo da zero.
In
questi mesi alcuni segnali di discontinuità si sono verificati, come
dimostra il piano di redistribuzione dei richiedenti asilo e il
rafforzamento del pattugliamento nel Mediterraneo. Non abbiamo
sconfitto, ma certamente abbiamo incrinato la coltre di pigro egoismo
che attraversa molti paesi europei. Anzi, vista da Bruxelles la scena
era molto diversa da quella raccontata dai media nazionali: non
l'Europa contro di noi, ma alcuni paesi europei contro l'Europa che
ha scelto sulla spinta dell'Europarlamento e del piano della
Commissone europea la strada della condivisione delle risorse, della
ripartizione della solidarietà, della lotta comune al traffico di
essere umani. La base comune di riflessione esiste e per le forze
progressiste questo è il tempo per dimostrare che l'Unione europea
non è una espressione geografica, ma una comunità responsabile
fondata su valori robusti.
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