venerdì 21 agosto 2015

La Ue è più di un'espressione geografica


David Sassoli
L'Unità 20 agosto 2015
Non ci sono muri che tengano, non c’è filo spinato, barriere, eserciti o milizie che possano fermare chi fugge dalla guerra, dalla fame o dalla persecuzione. Ieri in Macedonia, come da tempo al largo di Lampedusa, al confine di Ventimiglia, a Calais o nell’Isola greca di Kos masse di profughi  premono per entrare in Europa: chiedono un futuro senza guerra o fame per sé e per i propri figli. Chiedono di noi. Chiedono aiuto all'Europa. A chi altri, d'altronde, dovrebbero rivolgersi le famiglie scappate dalla Siria e raccolte nel campi della Turchia, del Libano o della Giordania?
 Parliamo di milioni di persone. E veramente pensiamo che basti qualche urlaccio becero di Salvini a fermarli? Veramente pensiamo che il disgraziato muro che stanno erigendo gli ungheresi ai loro confini possa scoraggiarli? Siamo di fronte ad una questione epocale, che sta segnando e segnerà per sempre la storia di questi anni e a cui dobbiamo dare una risposta. Soprattutto organizzativa, se non vogliamo essere travolti da uno spirito xenofobo che alimenta paure e scuote i sistemi democratici europei.
 Siamo dentro una grande battaglia politica e non dobbiamo sottovalutarla: da una parte ci siamo noi, il nostro governo, le forze europee progressiste e le diffuse esperienze del volontariato; dall'altra, quelli dei muri e dei fili spinati.
 Il richiamo della Chiesa di Roma è una grande chance perché ci costringe ad alzare lo sguardo e a riempire di contenuti una politica europea che spesso si accontenta di piccoli passi. Quello che in queste ore avviene Macedonia è un’altra pagina di un dramma che si ripete da tempo con le stesse modalità. Ma è in Europa, e nelle sue istituzioni, il vero campo della nostra battaglia. Se in Italia servono nuove modalità organizzative per garantire dignità alle persone che arrivano, a Bruxelles la sfida riguarda il trasferimento della politica dell'immigrazione dal piano nazionale a quello europeo. L'Unione europea non può essere solo vincoli economici e pareggio di bilancio. Soltanto con più Europa potremmo affrontare sfide globali. Le resistenze non mancano e sono robuste, ma non partiamo da zero.
 In questi mesi alcuni segnali di discontinuità si sono verificati, come dimostra il piano di redistribuzione dei richiedenti asilo e il rafforzamento del pattugliamento nel Mediterraneo. Non abbiamo sconfitto, ma certamente abbiamo incrinato la coltre di pigro egoismo che attraversa molti paesi europei. Anzi, vista da Bruxelles la scena era molto diversa da quella raccontata dai media nazionali: non l'Europa contro di noi, ma alcuni paesi europei contro l'Europa che ha scelto sulla spinta dell'Europarlamento e del piano della Commissone europea la strada della condivisione delle risorse, della ripartizione della solidarietà, della lotta comune al traffico di essere umani. La base comune di riflessione esiste e per le forze progressiste questo è il tempo per dimostrare che l'Unione europea non è una espressione geografica, ma una comunità responsabile fondata su valori robusti. 

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