Corriere della Sera 30/08/15
Aldo Cazzullo
L'INTERVISTA A MATTEO RENZI
Presidente Renzi, il Paese appare
ancora fermo. Tassi ai minimi, euro più debole, prezzo del petrolio
basso: eppure la ripresa è ancora fiacca. È sicuro che ci siano le
condizioni per predicare ottimismo?
«Ho una lettura diversa. Il
Paese non mi sembra fermo e al contrario vedo tanta energia. Dopo
anni di palude, il Parlamento approva le riforme. L’Expo è una
scommessa vinta contro il parere di molti. Gli indici di fiducia e i
consumi tornano a crescere. Il turismo tira, in particolare al Sud.
Si respira un clima di ripartenza. Dopo anni di segno negativo
torniamo a crescere».
Cresciamo poco.
«Vero. Non mi
accontento dello zero virgola, ma vorrei ricordare che i precedenti
governi avevano un netto segno “meno”. Adesso siamo al “più”.
Cresciamo all’incirca come Francia e Germania: poco, ma finalmente
come loro. Negli ultimi anni, invece, mentre loro crescevano noi
perdevamo posizioni. In un anno abbiamo fatto legge elettorale,
riforma del lavoro e della pubblica amministrazione, della scuola,
delle banche popolari: una riforma che era nell’agenda del governo
D’Alema, ministro del Tesoro Ciampi, direttore generale Draghi;
allora furono costretti a fermarsi, noi non ci siamo fermati. Abbiamo
rinnovato i vertici di Cdp e Rai, risolto 43 crisi aziendali,
riaperto fabbriche da Taranto a Terni, approvato la responsabilità
civile e il divorzio breve. E finisco qui altrimenti addormento
subito i lettori. L’Italia è in movimento, altro che ferma. Con
buona pace di Salvini che organizza manifestazioni per “bloccare
l’Italia”: sono vent’anni che siamo bloccati, ora è il momento
di correre. Voglio proprio vedere quanti imprenditori del Nord-Est
fermeranno le aziende per la serrata della Lega».
Sui nuovi
contratti a tempo indeterminato avete fatto una magra figura. Cos’ha
detto al ministro Poletti quando per sbaglio ne ha raddoppiato il
numero?
«Non gli ho detto nulla, io. Ma avrei voluto essere una
mosca per sentire quello che Poletti ha detto ai suoi, magari in
slang imolese: spero gliene abbia cantate quattro. Comunque i numeri
dei contratti a tempo indeterminato sono buoni, anche dopo la
correzione. Gli occupati crescono, i cassintegrati scendono, la
ripresa c’è. Non è la prima volta che si fa confusione sui
numeri, spero sia l’ultima».
Prodi le dice che non si
abbassano le tasse su Twitter. Tutti le chiedono dove trova i soldi.
«Io le tasse le ho abbassate sul serio. Mi riferisco
innanzitutto agli 80 euro; Prodi forse non lo ricorda perché non
rientra nella categoria, ma chi guadagna meno di 1.500 euro al mese
se n’è accorto eccome. Mi riferisco poi alle misure sul lavoro,
dall’Irap agli sgravi contributivi per i neoassunti. Adesso la casa
con l’azzeramento di Tasi e Imu, quindi l’Ires per le aziende nel
2017 e l’Irpef nel 2018. Non ci sarà nessun taglio alla sanità
per non far pagare il ricco. Magari nella sanità ci sarà qualche
poltrona Asl in meno e qualche costo standard in più. Ma sono tagli
agli sprechi, non alla sanità».
Ci saranno interventi sulle
pensioni più alte?
«No, non sono all’ordine del giorno».
Non è che i soldi li troverete facendo altro deficit? Come sono
davvero i rapporti con la Merkel? Pensa di convincerla ad allentare i
vincoli di bilancio?
«Con la cancelliera Merkel il rapporto è
buono e la preoccupazione comune è quella di evitare il declino
dell’ideale europeo. Su questo c’è sintonia di vedute. Rispetto
al bilancio, lei non è la nostra giudice. Anzi! Anche la Germania
deve cambiare, stimolando la domanda interna e facendo a sua volta
riforme strutturali nei settori in cui è più indietro. Ci sono
delle regole nell’Unione. E il nostro semestre ha cercato di
mitigare il rigore con la flessibilità. Per la prima volta, grazie
al lavoro di tutti a partire da Padoan, abbiamo ottenuto la
possibilità di uno spazio di patto di circa l’1%, 17 miliardi di
euro. Cercheremo di usare parte di quello. Quanto al deficit: siamo
tra i pochi Paesi europei che rispettano la soglia del 3%,
continueremo a farlo».
Abolire la tassa sulla prima casa è una
battaglia berlusconiana. O no?
«Abolire la tassa sulla prima
casa significa mettere fine a un tormentone decennale. E in un Paese
che ha l’81% di proprietari di prima casa è anche un fatto di
equità, non è certo un favore ai super ricchi. Se poi ora ripartirà
l’edilizia — anche solo per un fatto psicologico — per noi sarà
tutto di guadagnato. Lo aveva proposto Berlusconi? Certo. Che male
c’è? Questo approccio per cui se una cosa l’ha proposta
Berlusconi allora è sbagliata è figlio di una visione ideologica».
Lei ha detto che il Paese è rimasto bloccato per vent’anni
dallo scontro tra berlusconismo e antiberlusconismo. Sono due
attitudini che si possono mettere sullo stesso piano?
«Il
berlusconismo è ciò che, piaccia o non piaccia, resterà nei libri
di scuola di questo ventennio. Berlusconi è stato il leader più
longevo della storia repubblicana. Ma ha sciupato questa occasione,
perdendo la chance di modernizzare il Paese, sostituendo l’interesse
nazionale con il suo. In questo senso il berlusconismo ha bloccato
l’Italia. E l’antiberlusconismo — che è cosa molto diversa
dall’Ulivo — ne è l’altra faccia: un movimento culturale e
politico che non si preoccupava di definire una strategia coerente
per il futuro, ma semplicemente di abbattere Berlusconi. Una grande
coalizione contro una persona».
Quindi lei non si sente
antiberlusconiano?
«Io non mi definisco contro qualcuno, mai.
Non sono contro Berlusconi, ma per l’Italia: ero per l’Ulivo, non
contro gli altri. Certo, oggi siamo al paradosso che chi a sinistra
ha ucciso l’Ulivo, segandone i rami e promuovendo convegni come
Gargonza per rilevarne l’insufficienza, si erga a paladino
dell’ulivismo. Comunque non è un caso se nessun governo del
centrosinistra in quegli anni abbia avuto la forza di durare una
legislatura. Perché? Perché stavano insieme contro qualcuno, non
per qualcosa. Alla prova del governo la sinistra ha fatto nettamente
meglio della destra, per me. Ma se il governo D’Alema avesse avuto
la forza di fare quello che hanno fatto Blair e Schröder sul mondo
del lavoro avremmo avuto il Jobs act vent’anni prima».
Sulla
riforma del Senato c’è il rischio di una crisi di governo? E se
cade il suo governo si va al voto anticipato?
«Non vedo nessun
rischio».
Come fa a esserne così certo?
«Se vogliamo fare
una forzatura sul testo uscito dalla Camera, i numeri ci sono, come
sempre ci sono stati. Chi ci dice che mancano i numeri sono gli
stessi che dicevano che mancavano i voti sulla legge elettorale,
sulla scuola, sulla Rai, sul Quirinale. Se vogliamo forzare possiamo
farlo. Ma noi fino alla fine cerchiamo, come sempre, un punto
d’incontro».
Se i voti ci sono, ci sono anche grazie a
Verdini. Non la imbarazza?
«E perché? Il gruppo di Verdini ha
già votato le riforme al primo giro. Mi stupirei del contrario. La
mia minoranza firma gli emendamenti con Calderoli e Salvini, Grillo e
Brunetta; e dovrei imbarazzarmi per il voto di chi già ha sostenuto
questa riforma? Dovrei chiedergli: scusa, Verdini, stavolta puoi
votare contro se no quelli della mia minoranza ci rimangono male?».
La sinistra Pd chiede il Senato elettivo. Cosa risponde?
«L’elettività diretta presenta due problemi. Uno è politico: il
Senato non dà la fiducia al governo; in questi casi l’esperienza
internazionale ci mostra preferibile l’elezione indiretta. Uno è
tecnico: l’elezione diretta è già stata esclusa con doppio voto
di Camera e Senato. Rivotare una cosa già votata due volte sarebbe
un colpo incredibile a un principio che vige da decenni. Ma non è il
passaggio più delicato della riforma: una soluzione si può trovare.
Non abbiamo mai fatto le barricate su nulla, se non sul principio di
superare il bicameralismo paritario: vedremo. Basta che non sia la
scusa per ricominciare sempre da capo».
D’Alema è appena
tornato alla carica, Bersani l’aveva fatto nel giorno delle
amministrative. Non sarebbe meglio per tutti una scissione nel Pd,
piuttosto che continuare con uno scontro infinito?
«Non credo
che D’Alema e Bersani preparino una scissione. Credo si stiano
preparando al congresso del 2017».
Per candidare Letta contro di
lei?
«Non mi risulta, magari lei ha informazioni migliori. Per
me sarebbe molto divertente. Potremmo confrontare i risultati dei
rispettivi governi, discutere del modello di Europa per il quale ci
siamo battuti, riflettere sui risultati ottenuti quando abbiamo avuto
responsabilità nel partito. Del resto sia Enrico che io abbiamo già
avuto esperienze di primarie. Mi piacerebbe ma è prematuro. Il
congresso sarà nel 2017. E la nostra gente è stanca della polemica
continua. L’alternativa al Pd si chiama Matteo ma di cognome fa
Salvini. L’alternativa a questo governo e a questo Pd non è
un’improbabile coalizione a sinistra, non è un Lafontaine
italiano, un Varoufakis, un Corbyn; l’alternativa è il populismo».
Con Forza Italia sul Senato tratterà?
«Non credo, a meno
che non si chiariscano le idee tra di loro. Brunetta ci ha dato dei
fascisti perché abbiamo votato la stessa legge che hanno votato
anche i senatori di Forza Italia: fermo restando che sentirsi dare
del fascista per me è infamante, come la mettiamo? Sono fascisti
anche loro? Berlusconi è altalenante: un giorno segue Salvini, il
giorno dopo cura i rientri a casa, da Balotelli alla De Girolamo. Un
giorno vuole il Nazareno Bis, un giorno le elezioni anticipate. Da
quelle parti hanno poche idee, ma confuse. Se le chiariscono e
vogliono confrontarsi siamo qui. Altrimenti bye bye. Berlusconi è
circondato da molti consiglieri. Alcuni gli suggeriscono di fare una
guerra senza frontiere al governo e al sottoscritto. Auguri! Noi
andiamo avanti con determinazione e libertà. Il mio faro è il bene
comune, nient’altro».
Cosa aspetta a lanciare un grande piano
di tagli ai costi della politica? Abolizione di tutti i vitalizi,
dimezzamento delle indennità?
«Abbiamo fatto molto, dal
finanziamento ai partiti alla cancellazione di quasi 4 mila poltrone
nelle Province. Siamo intervenuti sulle auto blu. Abbiamo messo un
tetto ai dirigenti pubblici, con uno stipendio che può arrivare al
massimo all’indennità del capo dello Stato, 240 mila euro. Se
passerà la riforma della Costituzione come l’abbiamo scritta un
consigliere regionale non potrà prendere più del sindaco del comune
capoluogo. Ma di cosa parliamo ancora? Oggi un politico prende meno
non solo di un tecnico o di un giornalista…».
Magari…
«Se vuole facciamo un confronto all’americana tra la mia
dichiarazione dei redditi e quella di un qualsiasi direttore a sua
scelta. E io non mi lamento, sia chiaro. Oggi la vera sfida è
ridurre il numero dei politici, come abbiamo fatto con le Province e
come vogliamo fare col Senato. E controllarli di più».
Marino è
stato commissariato. Prima o poi dovrà dimettersi?
«Nessun
commissariamento. Roma ha ottenuto ciò che ha chiesto per il
Giubileo e anche un sostegno per combattere la corruzione con
Gabrielli e Cantone. Il sindaco sa che deve solo lavorare
nell’interesse dei cittadini. Punto. Tutto il resto è il consueto
Truman Show politico-mediatico».
La riforma della scuola doveva
essere un suo punto di forza, con centomila nuove assunzioni. Come
mai allora gli insegnanti sono così arrabbiati?
«Me lo chiedo
spesso anche io…».
Non sarà che avete sbagliato qualcosa?
«Sicuramente abbiamo sbagliato qualcosa noi. Altrettanto certamente
esiste un pregiudizio di parte del mondo docente. Quello di cui sono
certo è che la Buona Scuola non è la riforma. È solo l’inizio.
La riforma passa dall’edilizia scolastica e dai 1.673 cantieri che
questa estate abbiamo aperto. La riforma passa da parole come merito,
valutazione, qualità, autonomia, che necessitano di tempo ancora per
essere impiantate nel mondo scolastico. Mi fischino pure, mi
contestino, mi insultino; ma se ci sono centomila italiani che
anziché zigzagare come precari diventano insegnanti, be’, io ne
sono fiero».
L’emergenza migranti si fa di giorno in giorno
più drammatica. Non ha nulla da rimproverarsi su come è stata
gestita finora?
«Credo stia emergendo la verità sui migranti:
non è un problema italiano su cui speculare per mezzo punto di
sondaggio, ma una grande crisi mondiale e europea da affrontare a
Bruxelles, non a Lampedusa. Questa è stata la prima battaglia del
mio governo: chiedere l’internazionalizzazione di questa crisi.
Mare Nostrum aveva caricato tutte le questioni sull’Italia: noi
abbiamo chiesto solidarietà e coinvolgimento. Dopo la strage di
aprile e il vertice straordinario che ne è seguito sono arrivati i
primi provvedimenti. Ancora pochi, spesso miopi, frammentati. Ma le
drammatiche immagini di quei bambini asfissiati nel Tir, di quei
bambini uccisi nelle stive delle navi ci dicono che l’Europa deve
cercare una strategia».
Cosa farete in concreto?
«Non
dobbiamo solo tamponare l’emergenza, ma anche avere un ruolo
maggiore in Africa e in Medio Oriente. Investire di più sulla
cooperazione internazionale. Agevolare i rimpatri. E bloccare i
trafficanti di uomini, per sempre. Questo è il momento giusto per
lanciare un’offensiva politica e diplomatica. L’Europa deve
smettere di commuoversi e iniziare a muoversi. È finito il tempo dei
minuti di silenzio: si scelga finalmente di superare Dublino e di
avere una politica di immigrazione europea, con un diritto d’asilo
europeo. Questa sarà la battaglia dei prossimi mesi».
Cosa
cambierebbe?
«Ci vorrebbero mesi, ma avremmo un’unica politica
europea di asilo, non tante politiche quanti sono i vari Paesi.
Andremmo negli Stati di provenienza per valutare le richieste di
asilo, evitando i viaggi della morte. Gestiremmo insieme anche i
rimpatri».
E interverrete in Libia e in Siria, per fermare
vergogne come quella di Palmira?
«Obama ha convocato un vertice
su questi temi a fine mese proprio a margine dell’assemblea Onu».
Il cardinale Bagnasco si è espresso contro le unioni civili.
«Le unioni civili si faranno. Punto. Anche qui: usciamo da vent’anni
di scontri ideologici. Anche qui: ci sono i numeri per una forzatura,
ma spero di trovare un punto d’intesa ampio. Il richiamo alla
famiglia tuttavia non è in contraddizione con le unioni civili ed è
un richiamo molto corretto, secondo me. Nella legge di Stabilità va
inserito un piano famiglia, dagli asili nido fino agli interventi per
i bambini poveri e le famiglie numerose».
Nei mesi scorsi sono
uscite sue intercettazioni che mostravano uno stile di una certa
spavalderia, ai limiti della ribalderia.
«La rivoluzione non è
un pranzo di gala, no?».
Dall’altra parte, lei ha parlato di
un Renzi 1, che va nelle scuole e nelle fabbriche, e un Renzi 2,
inviluppato nell’agenda, nei vertici europei, nelle riunioni di
partito. Qual è il vero Renzi?
«Io sono sempre lo stesso. Un
ragazzo di provincia che a meno di quarant’anni è stato chiamato —
con altri — a cambiare il sistema politico considerato più
gerontocratico nell’intero Occidente. Non è questione di Renzi 1,
Renzi 2, intercettazioni. È che il sogno di un percorso di
cambiamento, iniziato dalla Leopolda cinque anni fa, sta diventando
realtà. E ci riusciremo, senza guardare in faccia nessuno, senza
rispondere a potentati o gruppi di interesse. Qualcuno dice che siamo
maleducati o spavaldi? Lo pensino pure. Il mio obiettivo non è stare
simpatico. È lasciare una macchina pubblica capace finalmente di
funzionare. Tutto il resto è fuffa. Mi chiedono: ma fai il bravo con
i giornalisti, frequenta di più i sindacati, non scontentare gli
imprenditori, preoccupati della minoranza del Pd. Tutto giusto, per
carità. Ma io devo preoccuparmi soprattutto della maggioranza degli
italiani. So che fanno il tifo per noi anche persone che magari non
mi voteranno mai. Ma sanno che lo sforzo di questo governo è lo
sforzo di un Paese intero. E quindi ci danno una mano. L’Italia sta
tornando. Non sprecheremo questa opportunità» .