La trattativa che s'è aperta a Bruxelles sarà lunga, barocca,
incomprensibile. Per dimostrare che la vittoria elettorale non è stata
inutile, Renzi dovrà forzare durante il semestre di presidenza italiana.
I tempi e i riti della politica europea non s’addicono a Matteo
Renzi. Col vertice informale di ieri sera s’è aperto un processo
decisionale barocco, interminabile, che condurrà al completamento della
commissione solo fra ottobre e novembre. Il governo dell’Unione nascerà
al culmine di trattative incomprensibili ai più, con incroci fra
interessi nazionali, di famiglie politiche, di singoli partiti e
naturalmente personali. Basti dire che il primo passo della vicenda è la
sostanziale esclusione dalla rosa per la presidenza della commissione
di coloro che s’erano candidati per il posto davanti agli elettori, a
cominciare dal vincitore Juncker.
In questo contesto non sarà facile per Renzi dare agli italiani il
riscontro rapido dell’utilità della sua vittoria elettorale. Se
Montecitorio è una palude, Bruxelles sono le Everglades, dove possono
affondare le migliori intenzioni di «cambiare verso».
Un po’ come in Italia nell’ultimo anno, la crisi di credibilità delle
istituzioni e delle politiche Ue sarà alleata di colui al quale si
guarda ormai da molte parti come al campione della rinascita europeista.
Ecco allora che il famoso semestre di presidenza italiano acquisisce – in piena vacatio
degli altri poteri comunitari – un significato imprevisto. Dopo il voto
di domenica il ruolo formale si riempie di sostanza, oltretutto nelle
mani di un fuoriclasse della comunicazione. Dal primo luglio vedremo
all’opera Renzi formato esportazione, il cui nuovo traguardo da
appassionato di cronoprogrammi diventa il 31 dicembre. Quando a trarre
il bilancio – non solo europeo, e non solo del semestre – sarà Giorgio
Napolitano.
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