FEDERICO FUBINI
La Repubblica - 14/5/2014
GEORGE SOROS/I MERCATI SCOMMETTONO SUL
CAMBIAMENTO
George Soros ripete spesso che la
seconda guerra mondiale gli ha cambiato la vita. «Ma per chi è
giovane ora il grande trauma è la crisi dell’euro - aggiunge -. Se
fossi giovane, mi considererei una vittima e vedrei nell’Unione
europea il colpevole». In questi giorni Soros presenta il suo ultimo
libro, che ha voluto ottimista nel titolo («Salviamo l’Europa.
Scommettere sull’euro per creare il futuro», Hoepli). Ma sa che
alle prossime elezioni i populisti possono incassare un risultato
senza precedenti. Anche il governo di Matteo Renzi è sotto esame: i
mercati scommettono sulle sue riforme, dice. «Ma se fallisce il
vento potrebbe cambiare».
Una vittoria dei partiti antieuropei la
preoccupa?
«Sono sempre più forti. Siamo di
fronte a una politica nuova, basata su un’ideologia nazionalista
sfruttata da figure carismatiche per garantirsi sostegno. Questi
leader hanno in mente un sistema formalmente democratico ma nei fatti
autoritario e capace di manipolare l’opinione pubblica. Ciò che è
populista per noi, per loro è semplicemente popolare».
È il modello Putin, che in effetti non
dispiace a Silvio Berlusconi, Marine Le Pen o all’ungherese Viktor
Orban.
«È così. Putin sta diventando
popolare in certi ambienti come sfida all’Unione europea. Attrae
perché ha caratteristiche che piacciono ai populisti».
Come spiega che in Italia o in Francia
i partiti anti-euro sono più forti che in Germania?
«La situazione economica è diversa.
L’Italia e la Francia sono fra i Paesi più deboli, mentre in
confronto al resto d’Europa la Germania sta prosperando».
Non crede alla ripresa?
«L’Europa sta entrando nello stesso
tipo di stagnazione prolungata da cui il Giappone cerca
disperatamente di uscire. Per questo i titoli di Stato italiani
vengono comprati anche se rendono meno del 3%: gli investitori
prevedono deflazione. È una situazione che continuerà finché
l’euro resta integro e il mercato si è convinto che in effetti
sarà così».
Il debito però continua a salire in
molti Paesi, Italia inclusa. È un problema?
«Il debito è impossibile da ridurre
in deflazione. Il forte surplus esterno della Germania contribuisce a
rafforzare l’euro e ciò a sua volta deprime i prezzi al consumo.
Finché l’Europa resta un sistema così asimmetrico, con la
Germania che chiede agli altri di rispettare il Fiscal Compact ma si
disinteressa delle regole sul proprio surplus eccessivo, sarà
squilibrata. È questo che mette la gente contro l’Europa. Così
l’euro rischia di distruggere l’Unione europea e alla fine anche
se stesso».
Ma se il debito in Europa del Sud
continua a salire e aumentano i tassi, si inizierà a pensare a una
ristrutturazione o a una parziale insolvenza pilotata?
«È possibile. Ma anche se la Federal
Reserve abbandonerà le politiche che tengono bassi i tassi, la Banca
centrale europea dovrà trovare modi di agire contro la deflazione.
Potrebbe comprare titoli di Stato e ciò terrebbe bassi i rendimenti.
O potrebbe comprare dollari, svalutando l’euro e aiutando gli
esportatori. Finché la Germania sostiene la Bce e la Bce fa
qualcosa, questa situazione può continuare all’infinito. Intanto i
problemi alla base dell’euro non vengono risolti. Nessuno osa
sfidare la Germania e così la zona euro resta una democrazia
asimmetrica: i creditori disegnano le regole per i debitori».
Non tutti i Paesi in crisi sono uguali:
Spagna, Portogallo e Irlanda ora vanno meglio dell’Italia. Perché?
«L’economia più debole è la
Francia, ma subito dopo viene l’Italia. C’è bisogno di riforme
nei singoli Paesi, non solo nella zona euro. Renzi sembra interessato
a riformare il mercato del lavoro: vedremo se riuscirà a trovare
sufficiente sostegno nel suo partito. Renzi ha bisogno di consolidare
il controllo sul partito e ciò potrebbe motivarlo ad andare avanti
con le riforme del lavoro. I mercati stanno scommettendo che Renzi
riesca; se fallisce, il che è possibile, questa tendenza potrebbe
invertirsi. In Europa c’è una battaglia fra generazioni: i più
anziani proteggono i loro privilegi contro i giovani e, vista l’età
media elevata, sono più numerosi alle urne. Uno può leggere la
politica in Italia in questo modo».
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