Adriana Apostoli
Brescia 28 maggio 2014
Non è la prima volta che quel che
avvenne il 28 maggio di quarant'anni fa in Piazza Loggia a Brescia
viene fatto oggetto di riflessione storica, politica, filosofica e
religiosa.
Un evento così spaventoso non può non
continuare a suscitare mille domande, cui è tuttavia ancora
difficile dare risposte. Certo continuiamo ad avere “bisogno –
come ripete Manlio Milani - di approfondirla fino in fondo la nostra
storia, di far emergere tutta la verità di questi anni”.
Dietro ogni vita stroncata in quella
Piazza c'era un universo di affetti e di progetti che è stato
irrimediabilmente distrutto. Ma non vorrei, anche se è molto
difficile, giocare sul filo dell’emozione, della memoria interna.
Così come non vorrei affrontare l’aggrovigliato ma non
inconcludente cammino processuale, fatto di verità storiche
calpestate, di acquisizioni giudiziarie disperse, di punti di
certezza ribaltati.
Quello che vorrei
è ricondurre la “storia di una strage” nell’alveo della
Costituzione italiana, legge fondamentale, nata dalle macerie del
Secondo conflitto mondiale.
Innanzitutto perché la memoria
esterna, quella che passa attraverso il ruolo giocato dalle
istituzioni e dalla generalità delle persone, necessita e induce
inevitabilmente ad un confronto diretto con le regole costituzionali.
Allo stesso modo, parlando della strage
di Brescia, non si può prescindere da un confronto con quanto
sancito nel Patto costituzionale, per comprendere quanto
quell’accordo abbia tenuto alla prova dei fatti, quanto abbia retto
all’uso politico della forza, alla violenza stragista.
Non va inoltre dimenticato che la
manifestazione del 28 maggio - quella di allora innanzitutto ma poi
tutte le successive - parla di Costituzione, è una manifestazione in
difesa della Costituzione, dei suoi principi, dei suoi valori
irrinunciabili: libertà, uguaglianza, giustizia, solidarietà,
lavoro, scuola.
Parlare della strage di Brescia
significa toccare con mano le difficoltà di una giovane democrazia
che ha sofferto e soffre di molte imperfezioni ed assiste
quotidianamente ai ripetuti strappi del suo tessuto costituzionale,
perché troppi dei suoi principi, troppe delle conquiste che hanno e
dovrebbero continuare ad alimentarla vengono ogni giorno impoveriti.
Una giovane democrazia che ha pagato un prezzo molto alto per la
difesa dei principi e dei valori sui quali si è fondata.
Quel patto costituzionale non è stato
sempre rispettato. Troppe volte è stato violato. E doppiamente
violato, non solo per l'abietta violenza di cui la nostra Piazza è
stata testimone, ma anche perché, se è vero che l'unico modo che
gli uomini hanno di riparare un torto è quello di rendere giustizia,
il grande torto del 28 maggio 1974, pur essendo trascorsi
quarant'anni, non è stato del tutto riparato. Democrazia incompiuta
e bloccata, anche offesa, deviata e violentata.
Democrazia che, abbiamo bisogno di
credere, abbia fatto tesoro dei suoi stessi errori.
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