Michele Santoro reagisce agli insulti e minacce di Beppe Grillo.
Meglio tardi che mai. Intanto però il discredito del sistema dei media è
generalizzato. E perfino Matteo Renzi ne approfitta un po'
La battuta è troppo facile per evitarsela: benvenuto Michele.
Benvenuto nel club degli insultati, dileggiati, derisi e infine anche
minacciati, caro Michele Santoro. Doveva succedere a te e a Vauro, di
finire nella black-list di Beppe Grillo e sotto il tiro dei suoi
seguaci, perché coglieste la gravità dell’aggressione in corso alla
libertà di informazione. Era successo prima ad altre testate e altri
giornalisti, guarda caso in maggioranza considerati “di sinistra” (Repubblica, Unità, Europa con Federico Orlando, Milena Gabanelli, ma è toccato anche a Corriere e Stampa),
la cosa però non ti aveva colpito più di tanto. Né aveva scosso le
coscienze della società civile tanto sollecita a mobilitarsi contro le
leggi bavaglio e gli editti bulgari di Berlusconi.
Santoro non accetta intimidazioni e minaccia a sua volta di riempire le piazze per rinfacciare ai Cinquestelle la sua verità.
È una reazione forte, ma debole. È forte perché rompe il fronte della
connivenza con la talebana concezione grillina del diritto di critica e
di parola. È debole, però, perché la delegittimazione della stampa è
ormai dilagata oltre i confini dei fan del blog di Grillo.
Com’è stato possibile che la contestazione investisse un’icona
dell’anticasta come Santoro? Semplice: prima ancora che sul web, i
distruttori del sistema sono cresciuti davanti alla tradizionalissima
tv, nel clima di (meritato) discredito della politica che montava dai
talk-show santoriani o pseudo-santoriani, come del resto accadde con la
fine della Prima repubblica. Ma ora l’ideologia della
disintermediazione, dell’informazione che vale solo se autoprodotta,
colpisce coloro che l’hanno incoraggiata: nessuno ha titolo per denudare
i limiti di M5S, se lo fa è perché alla fine è comunque uno del
sistema.
Il problema grosso è che questo sentimento nei confronti del
giornalismo è in fondo condiviso anche da chi non ama e non vota Grillo,
né si esprime con insulti sui social network. Come sa anche Matteo
Renzi: si permette di sfidare l’eterodirezione editoriale che ha
condannato i suoi predecessori, comunica direttamente col pubblico, non
si tira indietro se può ridicolizzare qualche domanda stupida o astrusa
dei suoi intervistatori.
Chiaro che giornali e giornalisti non sono tutti eguali, né sono
eguali coloro che li “mettono a posto”. Una difesa corporativa e
generalizzata sarebbe ingiusta, inutile, sconsiderata. Ciò che è eguale,
che ci accomuna, è una crisi di sistema (vendite, ascolti, risorse) e
di ruolo che pare irrecuperabile. Perfino se ti chiami Michele Santoro.
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