Dal voto di domenica un'incredibile sequenza di novità clamorose
per la sinistra. Eppure il premier non festeggia. Perché sa quanto sia
volatile e quanto sarà esigente quel 40,8 per cento. E perché a
Bruxelles lo aspetta una responsabilità enorme
In una sola domenica si concentrano più fatti storici che in
sette anni di vita del Partito democratico. Ma colui che l’ha resi
possibili non ci si ferma su, se non per una breve frase di circostanza,
per dichiarare una commozione che non trapela da nessuna parte.
È la prima volta nella storia della repubblica che un partito di
sinistra sfonda la mitica quota 40. È il più ampio distacco mai
registrato fra il primo partito e chi lo segue. È la prima volta che la
sinistra è maggioranza in tutte le regioni. Un partito di sinistra torna
dopo decenni a insediarsi nel Nord, con cifre da capogiro in una delle
aree più industrializzate d’Europa, ritrovando contatto con pezzi di
società che parevano irrangiungibili. Appena entrato nel Pse, il Pd ne
prende già la guida, col maggior numero di eletti. Il governo è l’unico
nell’Unione che avanza nelle urne.
Renzi ottiene questi risultati sei mesi dopo essere diventato
segretario del Pd, dopo neanche tre mesi a palazzo Chigi. Solo due anni
fa nel suo stesso partito lo definivano un infiltrato, un estraneo, un
alieno: evidentemente lo era davvero rispetto a quella sinistra lì.
Lui però, almeno in pubblico, non solo non festeggia ma è già
altrove, si occupa d’altro. E fa bene. Sapevamo che il difficile sarebbe
arrivato dopo il voto. Non pensavamo però che sarebbe stato così difficile. Nonostante la vittoria. Anzi, proprio in ragione di essa.
Proviamo a mettere in fila le grane che aspettano il trionfatore
delle europee, togliendo però subito di mezzo l’unica sulla quale ci
siamo concentrati nelle scorse settimane contribuendo tra l’altro a
confondere le idee ai malcapitati militanti del movimento Cinquestelle.
Infatti, il meno grave dei problemi del premier pare essere la tenuta
del quadro politico nazionale. Un po’ tutti vedevamo il grande
innovatore rallentato nella sua azione, frenato da avversari dichiarati e
occulti, costretto nella palude di un parlamento che non lo amava,
convincente solo in parte sulle misure economiche sulle quali aveva
puntato e che tanti – dai famosi tecnici del senato agli impazienti
commentatori liberal – consideravano o esagerate o insufficienti, a
scelta.
Concentrati sul rapporto tra Renzi e il Palazzo, abbiamo pensato che
per tutti questa sarebbe stata la pietra sulla quale valutarlo. Per
Grillo, la pietra alla quale inchiodarlo. Così abbiamo perso di vista
l’essenza del renzismo, che è altrove. Alcuni milioni di italiani
infatti hanno incontrato Matteo Renzi per la prima volta solo
domenica, e la reazione di affidamento che nel dicembre scorso era stata
degli elettori delle primarie si è estesa a una grande parte del corpo
elettorale.
Proprio questo affidamento consegna al Pd e al suo segretario il
primo problema. Quel 40,8 per cento, appunto perché contiene persone che
per la prima volta pensano di potersi fidare di un leader di sinistra,
sarà terribilmente esigente. E volatile: la fluidità elettorale (almeno
di questo, merito va dato a Grillo) è tale che il Pd non può dare per
acquisito un risultato così eccezionale. Di qui l’urgenza che Renzi
avverte e che ha restituito a chi aspettava da lui feste e sorrisi.
Un’urgenza che il premier ribalterà sugli altri partiti: tutti malconci e
sofferenti per l’alleanza o per l’ostilità col Pd, ma egualmente
obbligati a guardare in faccia la domanda di riforme che sale potente
dal paese.
Poi, anzi prima, c’è l’Europa. Abbiamo la risposta alla domanda di
questi mesi: chi può difendere gli interessi italiani contro
l’euroburocrazia e politiche sbagliate. Ma non sappiamo se
all’attenzione conquistata da Renzi nel Pse e fra i suoi colleghi capi
di governo corrisponderanno un’adeguata capacità e la forza politica
necessaria a invertire la rotta. Imprevedibilmente, sulle spalle di
questo uomo di neanche quarant’anni pesa oggi una responsabilità che
travalica i confini. Lui, il presunto sbarazzino, la sente tutta. Ecco
perché non ha tempo per festeggiare.
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