sabato 31 maggio 2014

Sciopero Rai, basso gradimento

Stefano Menichini 
Europa  

Tutti i sindacati aziendali in piazza contro Renzi e la spending review. Non era mai successo, neanche contro Berlusconi. Ma difendono l'indifendibile e fanno un favore al premier.
Una rivolta così non s’era mai vista. Neanche contro l’editto bulgaro di Berlusconi. Tanto meno contro il Grillo urlante di Sanremo. Perché, diciamocelo: la libertà d’informazione è importante. Ma gli stipendi dei dirigenti e dei conduttori Rai, la proliferazione delle redazioni locali e la tutela del consenso dei sindacati interni sono ben più preziosi. Sicché anche solo la remota minaccia che la spending review possa occuparsi di Saxa Rubra e viale Mazzini giustifica il gesto clamoroso: sciopero generale, con annessa manifestazione, di tutti i lavoratori Rai. Contro il governo e contro la richiesta all’azienda di partecipare per 150 milioni (il 5 per cento del bilancio) ai piani di riduzione della spesa pubblica, magari vendendo una quota (minoritaria) della società degli impianti di trasmissione e senza alcuna riduzione del personale.
L’11 giugno sarà il primo sciopero nazionale unitario convocato in Italia contro Renzi. Nelle piazze dove non hanno ritenuto di mobilitarsi metalmeccanici, pensionati o disoccupati, ecco  presentarsi agguerriti giornalisti, impiegati, tecnici e dirigenti di Mamma Rai.
È una notizia che a palazzo Chigi hanno salutato con silenziosa soddisfazione. La reazione dei sindacati Rai arriva infatti a confermare e rafforzare il messaggio di Renzi verso un’opinione pubblica insofferente verso chi difende l’indifendibile in termine di sprechi, inefficienze e anche veri privilegi.
La sfortuna di Usigrai e soci è che nessuno cade più nell’equivoco (riproposto nella loro piattaforma) di assimilare la difesa della Rai così com’è alla difesa della democrazia dai conflitti d’interesse e dalle tentazioni autoritarie di Berlusconi. Questo è il passato. Col disarmo di Forza Italia vanno in archivio anche il partito Rai, il partito delle procure, i giornali partito, la rete di interessi e di poteri che s’è avvinta alla sinistra e alla quale la sinistra s’è avvinta per vent’anni.
Nessuno è più disposto a pagare il prezzo del conflitto tra berlusconismo e antiberlusconismo col quale s’è giustificato e silenziato di tutto. Sicché ora rimangono nude (alla Rai come a Mediaset, si badi bene) questioni meramente industriali: calo della pubblicità, recupero e uso del canone, obsolescenza dei prodotti, elefantiasi aziendale, dirigenze strapagate, costosi accordi commerciali sui quali indaga anche la magistratura.
Libero il sindacato di scioperare, ci mancherebbe. Temo però che stavolta audience e gradimento saranno molto bassi.

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