Successo del seminario organizzato dal Pd con i costituzionalisti.
«Le modifiche si faranno nel lavoro parlamentare», ha detto la ministra
Boschi. Domani il confronto in commissione: verso un ordine del giorno
con le modifiche condivise?
«Abbiamo messo in campo proposte concrete, vogliamo sottrarle
alla discussione elettorale ed è per questo che abbiamo accettato di
andare oltre il 25 maggio, anche se politicamente un po’ mi costa perché
a livello europeo sono tutti più interessati alla riuscita delle
riforme che alla discussione sugli 80 euro».
L’ammissione con cui Matteo Renzi ha aperto il seminario con i
professori (anzi, con “professoroni” come Augusto Barbera, Valerio
Onida, Ugo De Siervo, Franco Bassanini, Franco Pizzetti, Luciano
Violante, assenti Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky) la dice lunga
sulle difficoltà delle riforme alle quali il segretario del Pd e
presidente del consiglio ha legato il suo futuro politico.
L’intero pomeriggio di oggi in cui a palazzo Marini si è svolto
l’approfondimento voluto dallo stesso Renzi e dalla ministra Maria Elena
Boschi è servito a mettere a fuoco un consenso abbastanza diffuso sui
punti cardine (senato delle autonomie e fiducia votata solo dalla
camera) e a evidenziare le criticità da correggere (eguale peso della
rappresentanza di regioni e comuni difeso soltanto dall’Anci, numero
troppo elevato di senatori nominati dal capo dello stato, competenze del
senato nel processo legislativo) sulle quali i pareri non sono univoci.
Una delle questioni più dibattute è quella riguardante le competenze
concorrenti, su cui in particolare Barbera ha richiamato l’attenzione (e
suscitato numerosi consensi) spiegando che non più di materie bisogna
parlare, bensì di funzioni. Sulle attribuzioni del senato delle
autonomie molto netto è stato De Siervo: «Dare un parere meramente
consultivo alla seconda camera è profondamente contraddittorio, non è
possibile mantenere un sistema regionale depotenziandolo in modo
drastico». Sulla stessa lunghezza d’onda Onida, che ha bacchettato Renzi
perché «non si fanno le riforme per risparmiare, ma per far funzionare
bene le istituzioni. So che su questo il presidente del consiglio va
incontro al sentimento comune, ma quando i governanti vanno dietro a
questi sentimenti sollecitano sentimenti anti-istituzionali», ma ha
giudicato «molto opportune» le modifiche accennate da Boschi.
La ministra delle riforme, che poco prima era salita al Quirinale, ha
ricucito nei toni e nella sostanza lo strappo di un mese fa, quando
aveva accusato i professori di aver bloccato le riforme. Anzi, ha fatto
riferimento ai «30 anni precedenti» per spiegare che la proposta del
governo «raccoglie in qualche modo parte dell’eredità» di quel dibattito
pluridecennale e per accennare più di una volta a emendamenti che
interverranno nel lavoro della commissione prima che il testo arrivi in
aula.
L’obiettivo politico del governo è quello che in commissione sia
adottato il testo base uscito dal consiglio dei ministri. Poiché su quel
testo si sono manifestate forti resistenze, anche all’interno del Pd,
la mediazione alla quale oggi hanno continuato a lavorare i relatori
Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli prevede un ordine del giorno in
allegato contenente i punti principali sui quali ci sarebbe un
“quasi-accordo”. La questione non è semplice e nel tardo pomeriggio non è
ancora chiaro cosa farà domani Forza Italia. «Il testo base deve
prendere in considerazione la discussione avvenuta in commissione, che
ha evidenziato posizioni nettamente difformi dal testo del governo»
ragiona Paolo Romani, ma la ministra delle riforme e i pontieri del Pd
non vorrebbero deflettere dal principio che il testo sul quale la
commissione lavorerà sia quello dell’esecutivo.
«Il vostro contributo non finisce oggi – ha concluso Boschi salutando
i professori – non perdiamoci di vista». L’appuntamento di domattina,
però, è con i senatori della prima commissione.
Nessun commento:
Posta un commento