lunedì 5 maggio 2014

Riforme, Renzi fa pace con i “professoroni”

Mariantonietta Colimberti 
Europa  

Successo del seminario organizzato dal Pd con i costituzionalisti. «Le modifiche si faranno nel lavoro parlamentare», ha detto la ministra Boschi. Domani il confronto in commissione: verso un ordine del giorno con le modifiche condivise?
«Abbiamo messo in campo proposte concrete, vogliamo sottrarle alla discussione elettorale ed è per questo che abbiamo accettato di andare oltre il 25 maggio, anche se politicamente un po’ mi costa perché a livello europeo sono tutti più interessati alla riuscita delle riforme che alla discussione sugli 80 euro».
L’ammissione con cui Matteo Renzi ha aperto il seminario con i professori (anzi, con “professoroni” come Augusto Barbera, Valerio Onida, Ugo De Siervo, Franco Bassanini, Franco Pizzetti, Luciano Violante, assenti Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky) la dice lunga sulle difficoltà delle riforme alle quali il segretario del Pd e presidente del consiglio ha legato il suo futuro politico.
L’intero pomeriggio di oggi in cui a palazzo Marini si è svolto l’approfondimento voluto dallo stesso Renzi e dalla ministra Maria Elena Boschi è servito a mettere a fuoco un consenso abbastanza diffuso sui punti cardine (senato delle autonomie e fiducia votata solo dalla camera) e a evidenziare le criticità da correggere (eguale peso della rappresentanza di regioni e comuni difeso soltanto dall’Anci, numero troppo elevato di senatori nominati dal capo dello stato, competenze del senato nel processo legislativo) sulle quali i pareri non sono univoci. Una delle questioni più dibattute è quella riguardante le competenze concorrenti, su cui in particolare Barbera ha richiamato l’attenzione (e suscitato numerosi consensi) spiegando che non più di materie bisogna parlare, bensì di funzioni. Sulle attribuzioni del senato delle autonomie molto netto è stato De Siervo: «Dare un parere meramente consultivo alla seconda camera è profondamente contraddittorio, non è possibile mantenere un sistema regionale depotenziandolo in modo drastico». Sulla stessa lunghezza d’onda Onida, che ha bacchettato Renzi perché «non si fanno le riforme per risparmiare, ma per far funzionare bene le istituzioni. So che su questo il presidente del consiglio va incontro al sentimento comune, ma quando i governanti vanno dietro a questi sentimenti sollecitano sentimenti anti-istituzionali», ma ha giudicato «molto opportune» le modifiche accennate da Boschi.
La ministra delle riforme, che poco prima era salita al Quirinale, ha ricucito nei toni e nella sostanza lo strappo di un mese fa, quando aveva accusato i professori di aver bloccato le riforme. Anzi, ha fatto riferimento ai «30 anni precedenti» per spiegare che la proposta del governo «raccoglie in qualche modo parte dell’eredità» di quel dibattito pluridecennale e per accennare più di una volta a emendamenti che interverranno nel lavoro della commissione prima che il testo arrivi in aula.
L’obiettivo politico del governo è quello che in commissione sia adottato il testo base uscito dal consiglio dei ministri. Poiché su quel testo si sono manifestate forti resistenze, anche all’interno del Pd, la mediazione alla quale oggi hanno continuato a lavorare i relatori Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli prevede un ordine del giorno in allegato contenente i punti principali sui quali ci sarebbe un “quasi-accordo”. La questione non è semplice e nel tardo pomeriggio non è ancora chiaro cosa farà domani Forza Italia. «Il testo base deve prendere in considerazione la discussione avvenuta in commissione, che ha evidenziato posizioni nettamente difformi dal testo del governo» ragiona Paolo Romani, ma la ministra delle riforme e i pontieri del Pd non vorrebbero deflettere dal principio che il testo sul quale la commissione lavorerà sia quello dell’esecutivo.
«Il vostro contributo non finisce oggi – ha concluso Boschi salutando i professori – non perdiamoci di vista». L’appuntamento di domattina, però, è con i senatori della prima commissione.

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