mercoledì 14 maggio 2014

Elezioni in India. Tsunami Modi Il populista hindu travolge il potere dei Gandhi

La Repubblica - 13/5/2014 
RAIMONDO BULTRINI

Dopo oltre un mese di votazioni con più di 551 milioni di elettori, i primi exit poll creano scompiglio La coalizione nazionalista del Bjp a un passo dalla maggioranza assoluta Un’incognita per il caso marò

Doveva essere un’onda e potrebbe essere un ciclone. Dalla tolda di Madre India, la dinastia Gandhi da dieci anni al timone del governo e da oltre sessant’anni alternativamente al potere, ha visto ieri avvicinarsi una nube ancora più minacciosa di quella già attesa con rassegnazione da 35 giorni. Allo scoccare delle ore 18 ore locali, quando anche l’ultimo elettore ha schiacciato il pulsante della celebre macchinetta di voto elettronico Evm, sono partiti i primi exit poll che vedono la coalizione della destra induista
del Bjp di Narendra Modi ovunque in testa con oltre 280 seggi sui 543 del Parlamento Lok Sabha. Allo stesso tempo, le poltrone rimaste al partito del Congresso di Sonia, Rahul e Priyanka Gandhi si sarebbero ridotte a 101, comprese quelle degli alleati regionali della coalizione fino a ieri maggioritaria, mentre il partito dell’uomo qualunque “Aam Aadmi” di Arvind Kejriwal data a 3, massimo 7 seggi. Ce n’è abbastanza per autorizzare la miriade di commenti già avviati da tv e giornali sulla fine della dinastia, data già per affondata alla vigilia stessa del voto. In teoria per ora l’effetto Modi è solo virtuale, grazie a qualche centinaia di migliaia di elettori campione che secondo i sondaggisti potrebbero sbagliarsi di un tre per cento al massimo. Ciò non toglie che la maggioranza assoluta attribuita alla sua alleanza sia verosimile, a conferma del potere travolgente di quest’uomo che da bambino vendeva il thé sui treni, a 50 anni ha preso la guida del Gujarat e ora porta i falchi della destra induista e liberista alla testa della federazione di 28 Stati, che stanno per diventare 29 a giugno con la nascita del Telangana. Fin da quando è sceso in campo, le corporazioni finanziarie e industriali indiane che possiedono gran parte di giornali e tv hanno appoggiato pesantemente e senza limiti di spesa la campagna di Modi for premier, dopo aver ricevuto per molti anni un trattamento di favore nel suo Gujarat, diventato un modello di sviluppo per il resto del Paese. Se confermati, i gli exit poll significano che non ha avuto nessuna presa o quasi la campagna puntata sulla fine dell’armonia etnica e religiosa in caso di vittoria dell’ultrareligioso Bjp, e che gli indiani — hanno votato in 551 milioni, oltre il 60 per cento degli aventi diritto — bocciano in pieno la politica economica del Congresso.
La dinastia più potente dell’India paga anche il prezzo dell’immagine da “principe indeciso” che proietta ormai da anni Rahul Gandhi, un eroe del popolo emarginato mentre la coalizione retta da sua madre Sonia abbassava il tasso di crescita dal 10 al 5 per cento, alzava i prezzi e infilava uno scandalo di corruzione dietro l’altro. Rahul non è mai stato presentato — né voleva presentarsi — come il candidato ufficiale alla poltrona di premier, nella consapevolezza che questa non sarebbe andata comunque al Congresso a meno di miracoli. Modi ha già ringraziato con enfasi i suoi sostenitori «rimasti ore e ore sotto al sole bruciante per dare forza alla nostra democrazia», e si appresta a godere il risultato finale, anche se per ora la sua coalizione sembra avere appena una manciata di posti in più dei 272 previsti come minimo per la maggioranza. I disastrosi risultati economici dell’avversario gli hanno dato facile gioco durante tutta la campagna elettorale, ma è stato soprattutto sul «partito di mamma e figlio», come ha detto più di una volta ironicamente nei comizi, che si è esercitata la sua abilità oratoria, puntando al cuore debole di un sistema basato sulle dinastie e non sui meriti.
Il Modi ultrareligioso, ritenuto responsabile delle violenze di strada anti-musulmane di 12 anni fa nella capitale del suo Stato, Amedabad, che causarono oltre 1000 morti, ha lasciato nella stalla durante tutta la campagna i cavalli di battaglia della destra induista, affidando a poche righe nel programma elettorale uno dei temi più caldi, la possibile ripresa dei lavori per il tempio del dio Ram nel posto della Moschea Babri di Ayodhya, che di vittime ne provocò più di 3000. Anche a livello internazionale, nonostante l’attuale status di “persona non grata” per il suo ruolo nelle sanguinose rivolte del 2002, Modi ha offerto di sé un’immagine di apertura, che l’Italia avrà modo di sperimentare presto con il seguito della vicenda dei due marò italiani Latorre e Girone. A fine luglio è prevista infatti la prima udienza della Corte Suprema sul loro caso, e l’atteggiamento del governo, eventualmente quello di Modi, sarà determinante. Il papabile premier finora si è limitato a usare il caso dei nostri soldati accusati di aver ucciso due pescatori del Kerala per punzecchiare l’”italiana” Sonia che li avrebbe aiutati a sfuggire all’autorità delle leggi indiane per lasciarli liberi nell’ambasciata.
Ma molti sono invece convinti che, finite le strategie di campagna elettorale, Modi saprà meglio del Congresso scendere coi piedi per terra, e oltre a «perdonare» gli Stati Uniti per avergli negato finora il visto, saprà risolvere il caso Marò senza temere conseguenze per il suo potere, con l’occhio magari rivolto agli affari che potrebbero nascere da una linea più morbida verso l’Italia e con tutti gli altri potenziali investitori nella “sua” India. L’ascesa di Modi è infatti decisamente basata sull’effetto della ripresa economica e del rilancio dell’occupazione, e la borsa valori di Mumbai non è mai stata così in fibrillazione come in questi giorni, con un effetto a catena sulla rupia che sta riguadagnando punti su punti. Per ora, non resta che attendere questo venerdì, quando in poche ore gli Evm scaricheranno i 551 milioni di voti registrati nella loro memoria elettronica e si saprà chi va alla guida di un miliardo e 200 milioni di anime.



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