FRANCESCO MERLO
La Repubblica. - 22/05/2014
Muore miseramente nel blog-cestino di
Grillo la carriera di una delle più valorose metafore italiane, il
Processo, sia quello politico di Pasolini contro il Palazzo, sia
quello sportivo di Sergio Zavoli alla tappa del Giro .
Mescolando Alcatraz con lo sputo in
faccia, Grillo annette a sé anche il “Processo del Lunedì” di
Biscardi, che fu il primo festival nazionale del libero insulto e
divenne l’anello di congiunzione tra il bar e il tribunale. E
ricorrendo sia agli anonimi accusatori incappucciati del web sia alle
celle segrete del castello di Lerici già destinate a Napolitano, a
Renzi e al giornalista Tal dei Tali, Grillo riproduce pure il
Tribunale del popolo delle Brigate rosse che uccisero Aldo Moro.
Ebbene, l’esito comico della metafora pasoliniana, che riassume gli
ultimi quarant’anni della culturae della sottocultura italiane,
gioiose, catartiche, popolaresche e sanguinarie, rende grottesco ma
non divertente il Processo che ora Grillo ci promette. E’ vero che,
chino sul plastico dove ha imprigionato i pupazzetti che riproducono
in effigie i suoi nemici, più che ai terroristi che spararono alla
nuca di Moro, Grillo fa pensare a certi bambini sadici che catturano
e torturano le mosche e le lucertole. Ma è altrettanto vero che
nella sua idea
di processo non c’è traccia, neppure
sotto forma di orecchiata parodia, del confronto civile e solenne
che, regolato dalla legge penale, in democrazia accerta la verità:
«Alla fine gli iscritti certificati al M5S potranno votare per la
colpevolezza o l'innocenza » scrive travestendo di procedura il suo
ghigno.
Insomma questo processoburla di Grillo
non è il cerchio di fuoco di Di Pietro che sognava il governo dei
giudici, ma la goliardia del sorvegliare e punire, non il feticcio
della legalità del giustizialismo ma il manifesto sciocco del
tagliatore di teste da videogioco, la promessa di sostituire la
civiltà del Diritto con l’allegra inciviltà dello scaracchio e
del dileggio: «Il processo durerà il tempo necessario, almeno un
anno, le liste saranno rese pubbliche quanto prima e l'ordine in cui
saranno processati gli inquilini del castello sarà deciso in Rete ».
È dunque garantito almeno un anno di bip, chip, play, pause, score,
leaderboard, winner, loser, tie e si capisce che questa Procedura
Penale è opera del Cordero di Settimo Vittone, il famoso
giureconsulto informatico Gianroberto Casaleggio: cliccate, accusate,
sparate, condannate, arrestate e vaffanculo.
Così il blog di Grillo somiglia a quel
sinistro appartamento immaginato da Friedrich Dürrenmatt e messo in
scena da Ettore Scola dove ogni sera una banda di pensionati
frustrati processava qualcuno, e l’imputato innocente Alberto Sordi
era convinto che fosse un divertente gioco, «la più bella serata
della mia vita », fino a quando una risata epica di tre minuti non
lo accompagnò… alla condanna. Ammesso che quella di Grillo sia
davvero arte comica diventata scienza politica, che ci siano dietro
uno stile e una composizione da spettacolo iperbolico, di sicuro il
contenuto delle sue immaginazioni è morale, e i commenti che le
accompagnaquesto no traboccano indignazione etica contro i
distruttori d’Italia, la casta, i giornalisti che disinformano, i
ladri di Stato, i colpevoli di ogni genere: Grillo stana le serpi,
scova le colpe e garantisce che il Processo «sarà uno sputo
popolare». È infatti lui il giudice di specchiata moralità che,
come è noto, deve avere la fedina pulita, altrimenti non si è
ammessi nella categoria, e Dio sa quanto ci piacerebbe applicare
stesso principio ai politici. Una volta al giudice era richiesto
anche il certificato di buona condotta, ma Grillo ne sarebbe comunque
esentato per meriti rivoluzionari. Pure Robespierre e Danton non
tennero una buona condotta, ma tutto si può dire tranne che non
fossero all’altezza morale dell’appuntamento che la storia aveva
preso con loro. Non è così per Grillo.
Come si sa è stato condannato per
l’omicidio colposo di tre persone che viaggiavano in auto con lui:
Renzo Giberti, 45 anni, la moglie Rossana Quartapelle, 34, il figlio
Francesco, 9. La Corte di Cassazione individuò «la colpa del Grillo
nell’avere proseguito nella marcia, malgrado l’avvistamento della
zona ghiacciata, mentre avrebbe avuto tutto lo spazio per arrestare
la marcia, scendere, controllare o, quanto meno, proseguire da solo».
Nessuno pretende che a distanza di tanti anni Grillo si volti e si
rivolti su quella colpa come su un letto di chiodi, ma la morte di
tre persone causata da un comportamento colpevole può restare remota
e vaga solo se l’omicida colposo non si avventa con furia sulle
(presunte) colpe degli altri con annunzi squillanti e gloriosi di
processi sommari. Come si sa, Grillo riuscì ad aprire la portiera e
a lanciarsi fuori mentre la Chevrolet precipitava in un burrone. È
un omicida colposo ma non un assassino, come dice invece Silvio
Berlusconi che non si dà pace perché si specchia in Grillo e lo
vede uguale a sé: un pregiudicato che diventa suo giudice
dimenticando che la via dei processi è stretta, buia e sporca.
E non è finita. Secondo Lello Liguori,
l’ottantenne ex proprietario del Covo di Nord Est di Santa
Margherita Ligure, il comico, negli anni in cuI si esibiva a
pagamento, «si faceva dare 70 milioni: dieci in assegno e 60 in
nero». E Pippo Baudo ha aggiunto a Daria Bignardi che faceva la
cresta anche alla Rai. Calunnie? Di sicuro farsi pagare in nero è
una pratica diffusa nel mondo dello spettacolo: «così fan tutti»
diceva Craxi. Ma solo Grillo promette «verifiche fiscali per tutti
prima di mandarli affanculo » con tanti bei processi popolari, come
se fossimo nell’Egitto di Mubarak, come se fossimo nella Romania di
Ceaucescu. Siamo invece in Italia dove abbiamo rispettato con
discrezione la colpa di Grillo perché la sensibilità è, come la
giustizia, una bilancia che pesa anche i colori e la luce. Ma in
democrazia anche colpe molto più piccole dovrebbero gravare come
sassi nella coscienza e nella carriera di un “giudice” che manda
gli altri a Processo.
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