giovedì 22 maggio 2014

Un treno per l’Europa

La Stampa 22 maggio 2014
Massimo Gramellini
 
La France. La grandeur. La perfection. Et voilà: dall’altra parte delle Alpi hanno costruito vagoni più larghi delle banchine dentro le quali sarebbero dovuti passare. Pare che sui fianchi metallici spuntino venti centimetri di troppo: le famose maniglie dell’amore (poignées d’amour). Rimettere i treni sul binario giusto costerà cinquanta milioni di euro pubblici, per lo scorno di monsieur Dupont (il francese medio) e la gioia di madame Le Pen (la francese smodata) a cui stavolta i voti arriveranno direttamente in carrozza. C’est pas possible! E invece sì: basta che gli ingegneri preposti alla costruzione dei vagoni li progettino minuziosamente sulla carta senza mai degnarsi di alzare il sedere (le derrière) per andare a misurare dal vivo la larghezza di una banchina. Si sono fidati di dati antichi, di polverose mappe, quando sarebbe bastato recarsi nella più umile stazioncina di provincia con un righello. Ah, la présomption! (presunzione)! Ah, la paresse (pigrizia)! Ma da che monde è monde, sommando paresse e présomption si ottiene sempre una bêtise (stupidaggine).  

Stiamo infierendo sui socievoli cugini, confidando nella loro proverbiale autoironia? Fosse successo a noi, ci avrebbero dedicato una sinfonia a base di smorfie di disgusto, scuotimenti di testa e raffiche di «mon Dieu!» Ma a noi non sarebbe mai potuto succedere, per la semplice ragione che qualche burocrate o contestatore avrebbe fermato la costruzione dei treni se non addirittura quella dei binari. Alla peggio avremmo spacciato i vagoni grassi per una nuova moda. Altra classe, se permettete. Noi le stupidaggini le sappiamo truccare da opere d’arte, e senza neanche darci tante arie. 

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