sabato 17 maggio 2014

Gli standard di legalità del Pd

Stefano Menichini 
Europa  

Anche sul caso Genovese i democratici rispettano le regole che si sono dati. Sul caso Greganti pare aver funzionato la prevenzione. Ma è un lavoro appena iniziato, che riceverà un voto il 25 maggio.
Una volta di più, il Pd è stato chiamato a dar prova della propria capacità di reggere agli standard che si è auto-imposto quanto a trasparenza, rispetto della legalità e uguaglianza dei cittadini davanti alle leggi. È stato più difficile doverlo fare nei giorni caldi della campagna elettorale, vista la pressione esasperata di avversari che sperano di trarre vantaggio da storie come quelle di Genovese. Ma ciò che si doveva fare e che si era deciso di fare, è stato fatto. Come ormai capita sempre, in casi gravi e meno gravi, seguendo ma più spesso anticipando denunce di stampa e inchieste della magistratura (merita di riflettere su quanto trapela a proposito degli sforzi di Greganti e soci per ritrovare sponde a sinistra: «i renziani li rimbalzano», scrivono i giornalisti che hanno letto i verbali di procura).
Ci saranno altre prove del genere. Il Pd è partito di governo a ogni livello e in ogni territorio, anche in quelli dove intere economie si alimentano dei flussi di denaro pubblico: l’esposizione è inevitabile, i rischi sono quotidiani. È chiaro che chi non governa nulla, né si propone realmente di farlo, corre minori pericoli di inquinamento.
Le elezioni colgono Renzi a lavoro appena iniziato. Il lavoro di smontare e rimontare l’elefantiaca macchina dello stato (più è barocca e inefficiente, più è permeabile alla corruzione); e il lavoro di liberare il Pd dalle stratificazioni correntizie che aumentano i costi e le opacità della lotta politica premiando i signori delle tessere.
Gli elettori decideranno se questo impegno, avviato in tutto da neanche sei mesi, merita di continuare. Sta diventando una delle poste in palio delle elezioni europee.

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