Corriere della Sera 08/05/14
Enrico Marro
ROMA — Poiché Cgil, Cisl e Uil
vantano insieme 12,3 milioni di iscritti, sono per definizione una
potenza economica. Ogni iscritto paga infatti una tessera e una quota
mensile, trattenuta sullo stipendio o sulla pensione, all’incirca
l’1%. Trattenuta a vita, salvo disdetta per iscritto. Un
lavoratore, insomma, si può stimare prudentemente che versi al
sindacato in media circa 130 euro all’anno e un pensionato 60.
Considerando che i lavoratori iscritti alle tre confederazioni sono
6,3 milioni si tratta di circa 828 milioni, ai quali si sommano altri
360 milioni che arrivano da pensionati e altri iscritti (disoccupati,
per esempio). In tutto quasi un miliardo e duecento milioni l’anno
che arrivano dai tesserati. Che rappresenta certamente la quota
maggiore delle entrate del sindacato.
Ma ci sono anche risorse
che vengono da finanziamento pubblico, «diretto e indiretto», come
scrisse Giuliano Amato nella relazione consegnata al governo Monti
nel 2012, che lo aveva incaricato di far luce sul tema per vedere se
era possibile tagliare qualcosa. Amato si soffermò su tre voci: i
distacchi sindacali nel pubblico impiego, cioè lavoratori che fanno
i sindacalisti ma continuano a prendere lo stipendio
dall’amministrazione pubblica; i fondi ai patronati, che assistono
gratuitamente lavoratori e pensionati in particolare nelle pratiche
previdenziali; i fondi ai Caf che si occupano invece di compilare e
trasmettere le dichiarazioni dei redditi. L’ex premier concluse che
ci sono margini solo sui distacchi nel pubblico impiego, che causano
assenze retribuite dal lavoro corrispondenti a 3.655 dipendenti
l’anno (uno su 550) per un costo di 113,3 milioni di euro. E guarda
caso una delle 44 proposte di riforma della pubblica amministrazione
lanciate dal governo Renzi prevede il dimezzamento dei distacchi. Per
il resto, Amato suggeriva di non tagliare, né sui patronati né sui
Caf, perché svolgono funzioni essenziali (riconosciute da sentenze
della Corte costituzionale quelle dei patronati, che inoltre sono
finanziati con i contributi versati dalle aziende all’Inps) sia
perché entrambi hanno già subito pesanti tagli dei contributi. Ogni
anno ai patronati vanno circa 430 milioni di euro. Una somma che si
dividono una trentina di sigle, in base all’attività svolta. Certo
la parte del leone la fanno i patronati di Cgil, Cisl e Uil, ma ci
sono anche gli istituti promossi dai sindacati minori e dalle
associazioni delle imprese. Ai Caf vanno invece circa 170 milioni. In
questo caso le sigle sono addirittura 80. Il 45% dell’attività
viene svolto dai centri di Cgil, Cisl e Uil e degli altri sindacati,
il resto dai Caf delle altre associazioni (datori di lavoro,
professionisti, organizzazioni cattoliche).
Distacchi, fondi
pubblici ai patronati e ai Caf, sono forme indirette di
finanziamento, di cui non si trova traccia nei bilanci dei sindacati.
Caf e patronati hanno infatti bilanci separati. Ma anche restringendo
il campo di osservazione ai sindacati non si troverà altro sui
rispettivi siti che i bilanci delle confederazioni nazionali. Non
esiste insomma il bilancio consolidato, che tiene insieme tutte le
strutture sindacali, di categoria (metalmeccanici, chimici, pubblico
impiego, ecc.) e territoriali (regioni, province, ecc.). E parliamo
di Cgil, Cisl e Uil, perché se passiamo ai sindacati minori talvolta
non esistono nemmeno i bilanci o meglio sono segreti. Basti pensare
all’Ugl e forse non è un caso, vista l’inchiesta della
magistratura che ha travolto il segretario Giovanni Centrella
accusato di appropriazione indebita aggravata.
Del resto i
sindacati sono associazioni di fatto e in quanto tali non hanno
obblighi particolari. Ogni sigla si comporta come meglio crede. Fino
a poco tempo anche la Fiom-Cgil, che adesso con il segretario
Maurizio Landini chiede trasparenza, teneva nascosto il proprio
bilancio. Poi, dopo l’arrivo di Renzi e il pressing su «tutte le
spese online», la svolta. Sul sito Landini ha fatto pubblicare non
solo il bilancio ma anche le sue buste paga e le retribuzioni medie
dei dipendenti della struttura nazionale. Apprendiamo così che
Landini guadagna 2.250 euro al mese. Per i segretari generali di
Cgil, Cisl e Uil dobbiamo attenerci invece a dichiarazioni e notizie
filtrate sui media negli ultimi anni: circa 3.500 euro al mese disse
di ricevere l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, 4 mila
euro quello della Uil, Luigi Angeletti, 4.500 Raffaele Bonanni.
Infine, Cgil, Cisl e Uil hanno una grande ricchezza patrimoniale:
circa 3 mila immobili la Cgil, 5 mila la Cisl e un numero imprecisato
la Uil. Tutto grazie a una legge (la 902 del 1977) che attribuì loro
gratuitamente il patrimonio dei disciolti sindacati
fascisti.
Nessun commento:
Posta un commento