Corriere della Sera 27/05/14
Walter Veltroni, il suo «record»
delle elezioni 2008 è stato spazzato via.
«Sono tra quelli che
hanno festeggiato il superamento di quella soglia, raggiunta in
condizioni di grande difficoltà: la crisi del governo dell’Unione,
la forza di Berlusconi».
Quella volta però vinse la
destra.
«Il 2008 fu una tappa per insediare la ragione stessa
della nascita del Pd: dare all’Italia quel grande partito
riformista di massa che non aveva mai avuto. Un partito a vocazione
maggioritaria, che andasse oltre le colonne d’Ercole dei 12 milioni
di voti che la sinistra ha raggiunto nei suoi momenti più alti. Un
partito votato dai piccoli imprenditori e dagli operai, perché ha a
cuore la comunità nazionale, l’interesse generale del Paese. Un
partito non “socialdemocratico” ma democratico, aperto a identità
diverse. Per me è un sogno che si avvera».
In mezzo però c’è
stata la rottamazione. La vittoria di Renzi non nasce anche dal
fallimento della vostra generazione?
«Non mi pare la cosa più
rilevante. La nostra generazione ha commesso molti errori, ma non si
può dimenticare che ha portato per la prima volta la sinistra al
governo, e ha posto le premesse, dal Lingotto al Circo Massimo,
perché la vocazione maggioritaria del Pd si realizzasse. Renzi ha
fatto emergere una nuova classe dirigente. Succede, è giusto, ed è
nel corso della storia. Anche noi lo facemmo, quando passammo dal Pci
al Pds».
Ma ci voleva uno che non venisse da quel mondo per
raggiungere il risultato.
«Renzi e io veniamo da mondi diversi, ma
abbiamo la stessa idea: il Pd non deve limitarsi a riempire il
proprio recinto, per poi unirlo al recinto dei vicini. Il Pd deve
saper parlare a tutti gli italiani. Questo risultato storico è
frutto di due circostanze oggettive: il fatto che Renzi sia al
governo da poco, e abbia indicato la possibilità di un cambiamento;
e la crisi di Berlusconi. Ma c’è anche una circostanza soggettiva:
la personalità stessa di Matteo, la sua determinazione, la
“cattiveria” che io non ho saputo avere; cosa che mi sono sempre
rimproverato come un difetto. Se il sogno si è avverato, il merito è
suo. Compreso il merito di aver sfidato, da riformista, tutti i
conservatorismi».
Come giudica il risultato di
Grillo?
«L’esasperazione del linguaggio non ha pagato. Né ha
pagato la logica dello scontro tra amico e nemico. Detto questo,
Grillo è ancora sopra il 20%. Non ho mai creduto al parallelo con
Marine Le Pen: l’elettorato dei Cinque Stelle è molto più
complesso, esprime una richiesta di innovazione che in parte Renzi è
riuscito a intercettare».
L’estrema destra nazionalista è il
primo partito sia in Francia sia in Inghilterra.
«Questo rende
ancora più prezioso il risultato raggiunto in Italia da un partito
che ha un’idea indiscutibile e insieme innovativa dell’Europa. Ma
sarebbe un grave errore che la Commissione di Bruxelles pensasse di
averla sfangata e continuasse come prima. La crisi istituzionale ed
economica genera paura, chiusura sociale, populismo: una somma di
ingredienti che può creare guai spaventosi. L’Europa è come un
aereo che ha superato la fase del decollo: o prosegue il volo, o si
schianta. Dobbiamo fare gli Stati Uniti d’Europa, costruire
l’Europa della tecnologia, dello sviluppo, dell’ambiente, delle
politiche sociali».
In Italia si tornerà presto a votare per
le Politiche?
«Non credo. Ho apprezzato le prime dichiarazioni
degli esponenti di Forza Italia, che non rinnegano gli accordi sulle
riforme elettorali e istituzionali. Nel progetto del Pd ci sono
bipolarismo e alternanza, più capacità di decisione democratica,
più poteri del governo, più controllo delle Camere, partiti aperti
e trasparenti, una macchina dello Stato più leggera ed efficiente.
Fare le riforme è il compito di questo Parlamento».
Berlusconi
è finito?
«Se con tutto quello che è successo Berlusconi riesce
ancora a mettere insieme il 16,8%, vuol dire che ha ancora un’area
di consenso. Cercherà di mettere in campo una nuova leadership:
probabilmente quella di sua figlia Marina».
Alfano tornerà con
Berlusconi o resterà alleato del Pd?
«Sono contento che sia
Vendola sia Alfano abbiano raggiunto il quorum. Alfano lavora per
costruire un centrodestra moderato, nell’ambito di un bipolarismo
normale. Non credo però che potrebbe stare in una destra
antieuropea».
Ma con Grillo i poli non sono tre?
«Se le
istituzioni funzionano, se la politica decide, anche Grillo non potrà
limitarsi a dire no ma dovrà partecipare ad azioni positive.
Attenzione però a non sottovalutarlo. E a non perdere di vista il
40% di italiani che si è astenuto, nonostante si votasse in due
Regioni e in 4 mila Comuni».
Che effetto le ha fatto sentire
piazza San Giovanni scandire il nome di Berlinguer, rispondendo
all’invito di Casaleggio che evocava la questione
morale?
«Berlinguer aveva ragione a porre la questione morale, che
vale sempre, per tutti, ogni giorno. Ma è sbagliato usare Berlinguer
nella battaglia politica. Io nel mio film l’ho raccontato
fermandomi al giorno in cui è morto. Non si possono attribuire le
proprie idee a chi non c’è più. Berlinguer è un patrimonio della
democrazia italiana; come Moro, La Malfa, Pertini, Parri».
Se
la legislatura continua, tra i compiti di questo Parlamento potrebbe
esserci l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
«Tra i
motivi per cui mi piace questo risultato, c’è la sconfitta
dell’attacco a Napolitano. So quanto gli è costato restare al suo
posto. Ora si può lavorare a quel percorso di riforme istituzionali
che il presidente ha sollecitato al momento della sua
rielezione».
Lei da segretario Pd avanzò la candidatura di
Ciampi. Stavolta?
«Non ho più queste responsabilità. Si può
amare il potere, e si può amare la politica. Se ami il potere,
quando lo perdi è tutto finito. Se ami la politica, continui a farla
per tutta la vita. Io sono fatto così: potrei avercela con Renzi;
invece lo apprezzo. E ho fatto campagna per lui in giro per l’Italia
come centinaia di migliaia di militanti».
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