martedì 27 maggio 2014

«Grazie a Matteo si è avverata la vocazione maggioritaria».


Corriere della Sera 27/05/14

Walter Veltroni, il suo «record» delle elezioni 2008 è stato spazzato via.
«Sono tra quelli che hanno festeggiato il superamento di quella soglia, raggiunta in condizioni di grande difficoltà: la crisi del governo dell’Unione, la forza di Berlusconi».

Quella volta però vinse la destra.
«Il 2008 fu una tappa per insediare la ragione stessa della nascita del Pd: dare all’Italia quel grande partito riformista di massa che non aveva mai avuto. Un partito a vocazione maggioritaria, che andasse oltre le colonne d’Ercole dei 12 milioni di voti che la sinistra ha raggiunto nei suoi momenti più alti. Un partito votato dai piccoli imprenditori e dagli operai, perché ha a cuore la comunità nazionale, l’interesse generale del Paese. Un partito non “socialdemocratico” ma democratico, aperto a identità diverse. Per me è un sogno che si avvera».

In mezzo però c’è stata la rottamazione. La vittoria di Renzi non nasce anche dal fallimento della vostra generazione?
«Non mi pare la cosa più rilevante. La nostra generazione ha commesso molti errori, ma non si può dimenticare che ha portato per la prima volta la sinistra al governo, e ha posto le premesse, dal Lingotto al Circo Massimo, perché la vocazione maggioritaria del Pd si realizzasse. Renzi ha fatto emergere una nuova classe dirigente. Succede, è giusto, ed è nel corso della storia. Anche noi lo facemmo, quando passammo dal Pci al Pds».

Ma ci voleva uno che non venisse da quel mondo per raggiungere il risultato.
«Renzi e io veniamo da mondi diversi, ma abbiamo la stessa idea: il Pd non deve limitarsi a riempire il proprio recinto, per poi unirlo al recinto dei vicini. Il Pd deve saper parlare a tutti gli italiani. Questo risultato storico è frutto di due circostanze oggettive: il fatto che Renzi sia al governo da poco, e abbia indicato la possibilità di un cambiamento; e la crisi di Berlusconi. Ma c’è anche una circostanza soggettiva: la personalità stessa di Matteo, la sua determinazione, la “cattiveria” che io non ho saputo avere; cosa che mi sono sempre rimproverato come un difetto. Se il sogno si è avverato, il merito è suo. Compreso il merito di aver sfidato, da riformista, tutti i conservatorismi».

Come giudica il risultato di Grillo?
«L’esasperazione del linguaggio non ha pagato. Né ha pagato la logica dello scontro tra amico e nemico. Detto questo, Grillo è ancora sopra il 20%. Non ho mai creduto al parallelo con Marine Le Pen: l’elettorato dei Cinque Stelle è molto più complesso, esprime una richiesta di innovazione che in parte Renzi è riuscito a intercettare».

L’estrema destra nazionalista è il primo partito sia in Francia sia in Inghilterra.
«Questo rende ancora più prezioso il risultato raggiunto in Italia da un partito che ha un’idea indiscutibile e insieme innovativa dell’Europa. Ma sarebbe un grave errore che la Commissione di Bruxelles pensasse di averla sfangata e continuasse come prima. La crisi istituzionale ed economica genera paura, chiusura sociale, populismo: una somma di ingredienti che può creare guai spaventosi. L’Europa è come un aereo che ha superato la fase del decollo: o prosegue il volo, o si schianta. Dobbiamo fare gli Stati Uniti d’Europa, costruire l’Europa della tecnologia, dello sviluppo, dell’ambiente, delle politiche sociali».

In Italia si tornerà presto a votare per le Politiche?
«Non credo. Ho apprezzato le prime dichiarazioni degli esponenti di Forza Italia, che non rinnegano gli accordi sulle riforme elettorali e istituzionali. Nel progetto del Pd ci sono bipolarismo e alternanza, più capacità di decisione democratica, più poteri del governo, più controllo delle Camere, partiti aperti e trasparenti, una macchina dello Stato più leggera ed efficiente. Fare le riforme è il compito di questo Parlamento».

Berlusconi è finito?
«Se con tutto quello che è successo Berlusconi riesce ancora a mettere insieme il 16,8%, vuol dire che ha ancora un’area di consenso. Cercherà di mettere in campo una nuova leadership: probabilmente quella di sua figlia Marina».

Alfano tornerà con Berlusconi o resterà alleato del Pd?
«Sono contento che sia Vendola sia Alfano abbiano raggiunto il quorum. Alfano lavora per costruire un centrodestra moderato, nell’ambito di un bipolarismo normale. Non credo però che potrebbe stare in una destra antieuropea».

Ma con Grillo i poli non sono tre?
«Se le istituzioni funzionano, se la politica decide, anche Grillo non potrà limitarsi a dire no ma dovrà partecipare ad azioni positive. Attenzione però a non sottovalutarlo. E a non perdere di vista il 40% di italiani che si è astenuto, nonostante si votasse in due Regioni e in 4 mila Comuni».

Che effetto le ha fatto sentire piazza San Giovanni scandire il nome di Berlinguer, rispondendo all’invito di Casaleggio che evocava la questione morale?
«Berlinguer aveva ragione a porre la questione morale, che vale sempre, per tutti, ogni giorno. Ma è sbagliato usare Berlinguer nella battaglia politica. Io nel mio film l’ho raccontato fermandomi al giorno in cui è morto. Non si possono attribuire le proprie idee a chi non c’è più. Berlinguer è un patrimonio della democrazia italiana; come Moro, La Malfa, Pertini, Parri».

Se la legislatura continua, tra i compiti di questo Parlamento potrebbe esserci l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
«Tra i motivi per cui mi piace questo risultato, c’è la sconfitta dell’attacco a Napolitano. So quanto gli è costato restare al suo posto. Ora si può lavorare a quel percorso di riforme istituzionali che il presidente ha sollecitato al momento della sua rielezione».

Lei da segretario Pd avanzò la candidatura di Ciampi. Stavolta?
«Non ho più queste responsabilità. Si può amare il potere, e si può amare la politica. Se ami il potere, quando lo perdi è tutto finito. Se ami la politica, continui a farla per tutta la vita. Io sono fatto così: potrei avercela con Renzi; invece lo apprezzo. E ho fatto campagna per lui in giro per l’Italia come centinaia di migliaia di militanti».

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