martedì 6 maggio 2014

Sì al senato se non è una seconda camera

Salvatore Vassallo 
Europa  

Il progetto di riforme Renzi-Boschi non è ipocrita e consente di superare il bicameralismo
La riforma del bicameralismo proposta da Matteo Renzi è tanto necessaria quanto difficile da digerire, sia per i corpi elettivi sia per le burocrazie parlamentari. Ha, effettivamente, già cambiato «il verso» di un dibattito segnato per troppo tempo da una notevole ipocrisia (è una delle cose che ho provato a documentare, meglio di quanto possa fare qui, in La politica liberata. Perché, forse, questa è la volta buona, il Mulino, in libreria a giugno).
Che il bicameralismo paritario sia non solo inutile, ma contribuisca addirittura a indebolire il ruolo del Parlamento, lo si capisce vedendo come si svolge ormai, di norma, l’approvazione delle leggi collegate alle manovre di bilancio: con l’alibi della lunghezza del procedimento bicamerale, vengono esaminate, di fatto, da una sola commissione di una camera sola, prima di essere sottoposte al voto di fiducia.
Nemmeno ci sono dubbi sul fatto che – con una forma di governo parlamentare a impianto maggioritario –  il Senato ha senso solo se serve a incorporare nel processo legislativo un «punto di vista» diverso da quello espresso dai gruppi politici della camera e, più precisamente, il punto di vista di chi ha responsabilità di governo negli «enti territoriali», cioè di chi concretamente dovrebbe poi dare attuazione a quelle leggi.
L’idea che ci possano essere senatori eletti direttamente che «rappresentano i territori», rispetto a deputati che «rappresentano gli orientamenti politico-partitici» è, a sua volta, una bufala. Basta aver osservato una sola volta le elezioni del Senato e della Camera dei Rappresentanti negli Stati Uniti per capirlo. Benché il primo fosse nato come organo di garanzia federale, con due componenti per ogni stato, da quando i Senatori vengono eletti direttamente dai cittadini, hanno un profilo ideologico (liberal o conservatore) ancora più netto dei secondi, i quali hanno un rapporto più stretto con «il territorio».
D’altro canto, molti autorevoli colleghi, costituzionalisti e politologi, sanno da sempre che l’organo costituzionale che con maggiore efficienza ed efficacia svolge una funzione di rappresentanza degli «enti territoriali» nel processo legislativo è il Bundesrat tedesco, proprio perché è costituito da «delegati» dei Länder e non da «senatori» dotati a titolo individuale dello status di parlamentare.
Ciononostante, dalla prima bicamerale (Bozzi, 1982) all’ultima commissione di saggi (Quagliariello-Violante, dicembre 2013), nel dibattito italiano sul bicameralismo si è sempre scartata la soluzione più ovvia, e si è invece sempre tenuto fermo un assunto: si devono mantenere in ogni caso in vita due distinti corpi elettivi, dotati di status equipollente, con annessa doppia filiera di incarichi parlamentari (presidenze d’aula, di commissione e dirigenza delle burocrazie interne).
Posso ben dirlo, perché quando nella XVI legislatura ho provato ingenuamente a sfidare questo assunto presentando un progetto di legge simile a quello ora depositato dal ministro Boschi, mi sono trovato davanti a un muro impenetrabile, compatto e trasversale, giustificato, nella migliore delle ipotesi, con l’argomento che i senatori non avrebbero mai votato il loro suicidio.
Peccato che la difesa ad oltranza del «corpo senatoriale a tempo pieno», posta a premessa di qualsiasi altro ragionamento, non produca solo maggiori spese, ma renda anche la riforma del bicameralismo un pasticcio. Partendo da lì, dalla equivalenza di Senatori e Deputati, si è sempre finito per dare al Senato funzioni che, nei fatti, contraddicono il principio secondo cui «solo la Camera dà e toglie la fiducia al Governo», o per inventare procedure che complicano ulteriormente il processo legislativo invece di semplificarlo.
Il progetto Renzi-Boschi, grazie alla forza di cui oggi dispone il leader del Pd, squarcia dunque, per la prima volta, il velo dell’ipocrisia e imposta correttamente i termini di fondo della questione. Si può discutere se non sia opportuno prevedere, nel Senato, una quota maggiore di consiglieri regionali rispetto ai sindaci (personalmente ne sono convinto) ed è certamente opportuno discutere dei quorum da modificare, alla Camera, per evitare che le istituzioni di garanzia cadano nelle soli mani dei partiti di maggioranza.
Ma il progetto regge – e regge benissimo – solo se rimane chiaro che lo status dei senatori è quello di «delegati degli enti territoriali», meglio ancora se sostituibili. Da questo punto di vista, quando si pongono come paletti (si spera, davvero) insuperabili che i senatori non siano eletti direttamente, che non abbiano indennità e svolgano contemporaneamente un’altra funzione rappresentativa o di governo, non si parla solo alla pancia degli italiani (forse anche questo): si definisce correttamente la natura che il nuovo Senato deve assumere se si vuole davvero, al tempo stesso, snellire e dare più forza al Parlamento.

Nessun commento:

Posta un commento