FILIPPO CECCARELLI
La Repubblica - 24/5/2014
C’è sempre una prima volta, e così
Berlusconi è tristemente scivolato al terzo posto nel gran trofeo
della campagna
elettorale.
E’ la sua sedicesima e per ragioni
che sono insieme umane e politiche i suoi negano questa inedita
condizione con uno zelo che suona sospetto. Vedi Il Mattinale di
ieri: «Sorriso, energia, serenità, determinazione. Non c’è che
un leader in Italia». Ecco, francamente no, non è più così.
Anche se alcune ne ha perse, con
qualche sussidio documentario si può sostenere che in quindici
elezioni l’ex Cavaliere è sempre arrivato «primo», o al massimo
«secondo », nel senso che ogni volta la prova delle urne si è
risolta in un referendum su di lui. Due anni fa dagli uffici
dell’allora Pdl è stato pubblicato un libro, a cura del fido,
laborioso e anche intelligente campaigner Antonio Palmieri,
dall’incontestabile, ma in fondo anche modesto titolo: «Come
Berlusconi ha cambiato le campagne elettorali in Italia».
In realtà l’anziano che a quattro
giorni dal voto è comparso in camice bianco sulle pagine di Chi può
essere ritenuto a pieno titolo il più mostruoso acchiappa-voti della
storia italiana; e l’istantanea scattata nell’Istituto «Sacra
Famiglia» di Cesano Boscone ne celebra l’estrema e malinconica
performance . Eppure, a dispetto dei più complici od efferati
teleobiettivi, quell’immagine non è servita a creare che una lieve
e stranita curiosità.
Tertium non datur . Altre foto, altri
video, altri frammenti televisivi, pure con fan in estasi, mostrano
il Berlusconi di sempre, posa studiata, andatura mediatica, sorriso
stampato sul volto, ma è come se un velo di stanchezza e
d’indifferenza si fosse posato sul più prodigioso mattatore.
Nessuno si aspetta più la narrazione epica, il colpo di scena,
l’arma segreta, il miracolo - e dio solo lo sa se ne ha fatti!
In passato ha promesso «bonus baby»,
«carte d’oro», «meno tasse per tutti», il ponte di Messina e
perfino la vittoria sul cancro; per le strade si è proposto come
«presidente operaio» e idolo in formato gigante; si è paragonato a
Napoleone e a Gesù; faceva annusare la mano («odora di santità»),
mostrava i graffi e i lividi dei bagni di folla e una volta è quasi
riuscito a far credere di aver risvegliato dal coma un poveraccio.
Esiste e resiste nella memoria una vera
e propria epopea di rapacità elettorale che oscura quella di Achille
Lauro. Ha regalato euroconvertitori, opuscoli auto-apologetici e
pacchi di pasta; in pieno caso Veronica-Noemi si è divincolato
facendo lo spiritoso sul «ciarpame» e sulle minorenni; ma
all’improvviso poteva chiedere agli elettori di non votare i suoi
stessi alleati, la Lega, Casini, «credete a me, è un voto
sprecato»; come pure, all’apice dell’anticomunismo, se n’è
uscito con la storia dei cinesi che utilizzavano i bambini come
concime... Ma ora?
Beh, al Mattinale di ieri era accluso
un « Libretto azzurro » che lo strenuo fideismo dei suoi redattori
ha promosso a «Vocabolario della vittoria»; e tuttavia, paragonate
al turpe, ma geniale elettoralismo del berlusconismo, quelle parole
trasmettevano un senso di vuoto, un’impressione di già consumato.
Troppi quattro colpi di stato. Al dunque, l’unica trovata degna di
nota è forse quella dei cani, ma il 25 notte chi ricorderà la
scorribanda animalista? L’offerta di dentiere, del resto, è
vecchia e un po’ triste.
Il fuorionda Toti-Gelmini ha introdotto
il tema delicato della salute evocando le stampelle. Patetica nel suo
genere è apparsa la parafrasi del cinque maggio, recitata due
settimane fa con quel finale sul centro destra che non esiste «se
non ci metto mano./ Per continuar l’impegno/ e non essere affranto/
devo cambiar contegno,/ oppure è solo pianto!». Non fanno più
tanto ridere nemmeno i lapsus e le gaffe, la Maria Vittoria Brambilla
chiamata «Marisa», la famiglia di poveri che «vive con mille euro
al giorno » e ieri la campagna elettorale divenuta «campagna
pubblicitaria».
Grillo lo prende in giro perché non sa
cos’è Google e dice «Gogòl», irresistibile a quel punto il
richiamo alle «Anime morte»; mentre Renzi gli fa l’imitazione,
dal teatrino dell’oratorio di Rignano al comizio dell’altroieri.
E si potrà discutere sulla comune effervescenza comica degli odierni
leader, ma resta un fatto che dei tre super-tribuni Silvione è
l’unico a non aver affrontato le piazze - e per una volta fra i due
litiganti il terzo è tagliato fuori.
Tutto intorno a lui sembra aver perso
il centro, come accade prima di un cataclisma. Lavitola, De Gregorio,
Cosentino, Tarantini, la Bonev, la fuga di Dell’Utri, Scajola in
gattabuia, la conversione di Lele Mora, il destino incerto di Marina,
Barbara che si agita, le foto orrende di Veronica, l’addio di
Bonaiuti, quello di Bondi, la Pascale che sta lì... C’è sempre
una prima volta, e stai a vedere che non sia anche l’ultima.
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