giovedì 15 maggio 2014

Errori e Scandali Scene da un Paese che Annaspa.



Antonio Ferrari
Corriere della Sera del 15/05/14

Nessuno mette in dubbio che un disastroso evento possa accadere, ma quando un grave incidente è prevedibile, anzi decisamente probabile come era stato denunciato due settimane fa, allora è irresponsabile definirlo «normale».

La Turchia piange centinaia di minatori morti, e altre centinaia di dispersi, che sono sepolti nelle viscere della terra a Soma, vena carbonifera ritenuta essenziale per il Paese, e il primo ministro Recep Tayyip Erdogan, anche stavolta, non si smentisce. Dimostrando, con quella che è riduttivo definire una gaffe, l’assoluta incapacità a gestire passaggi delicati e a contenere emozioni. Le frasi, pronunciate davanti ai familiari delle vittime, che lo avevano accolto prendendo a calci la sua auto, insultandolo come «assassino» e «ladro», dimostrano, ancora una volta, come la Turchia stia attraversando una fase delicatissima, con un premier arrogante e assai poco avveduto e con un risentimento popolare condizionato e silenziato soltanto dalla paura. Invece di spiegare perché il partito di governo, l’islamico-moderato Akp, abbia deciso di respingere — appunto 15 giorni fa— la mozione dell’opposizione laica, presentata dal partito Repubblicano del Popolo, che chiedeva una commissione d’inchiesta sulla sicurezza proprio delle miniere di Soma, Erdogan ha risposto con una lezioncina storica sull’inevitabilità delle tragedie in miniera. Ha citato i gravi incidenti dell’Ottocento in Gran Bretagna, e forse ha dimenticato quanto disse nel 2010, per un’altra strage mineraria turca, sostenendo che le vittime erano «beatamente morte, perché questo è il destino di chi fa quel mestiere». Tuttavia, oltre inopportune esternazioni di Erdogan, è l’immagine complessiva del Paese che appare assai deficitaria. Dopo anni di crescita costante e di recuperata credibilità internazionale, la Turchia si ritrova ad annaspare. Dalla repressione per le manifestazioni contro l’abbattimento di 600 alberi nel parco di Gezi, è stato un continuo sgretolamento: gli errori in politica estera, gli scandali, le frodi, le truffe elettorali, gli scontri con i fideisti dell’oppositore Fetullah Gülen, la sconfitta olimpica per i Giochi del 2020. E soprattutto un timore dilagante e contagioso fra la gente comune. Chi protesta con veemenza sa che lo aspetta la galera. Ci sono più giornalisti in prigione in Turchia che in Cina. Erdogan, che non conosce le regole della diplomazia, si sente forte del consenso numerico ottenuto nelle ultime elezioni amministrative. Vuole diventare presidente della Repubblica ad agosto. Ma non sarà facile. E’ pur vero che, in Parlamento, l’Akp ha i numeri per sostenerlo, magari non al primo scrutinio. Però alla fine il partito potrebbe cambiare strategia, frenando le ambizioni di un leader forte ma divisivo, e impedendogli di abbandonare una forza politica che, senza il premier, si indebolirebbe notevolmente. In quel caso, come sostengono molti osservatori, vi potrebbe essere il nuovo mandato del presidente uscente, Abdullah Gül.



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