Corriere della Sera 15/12/14
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Dopo due ore abbiamo tutti capito
che anche questa assemblea del Pd sarebbe finita nel latte e nel
miele (è vero che poco fa Stefano Fassina gliel’ha cantate per
bene, a Renzi, ma con voce emozionata in falsetto e facendo molta
attenzione a non tirare troppo la corda).
Delusione in sala
stampa.
E l’annunciata resa finale dei conti?
E la
scissione della minoranza?
Non doveva essere una domenica
bestiale?
Siamo nei sotterranei di un albergone dei Parioli,
stoffa alle pareti e corridoi con la moquette. Il passo di Pippo
Civati è più felpato del solito. Ha sempre questa andatura, quando
ti viene incontro, mette sempre su questo contegno solenne di uno che
sta per annunciare qualcosa di enorme e definitivo. Ma nemmeno oggi è
la volta buona.
«Sa quanti sono i cosiddetti civatiani in
Parlamento? Ce ne saranno 7 alla Camera e altrettanti al Senato...
Posso condizionare un partito con questi numeri? Dove vado? Chi
spavento?».
No, Civati, perdoni: ma lei, appena poche ore fa,
aveva addirittura annunciato la nascita di un nuovo
partito...
«Piano piano... Eh eh... correte troppo voi
giornalisti...» (bisogna dire che è quasi impossibile perdere la
pazienza con Civati: perché ti parla e ti guarda come se fossi il
suo compagno di banco al liceo).
Capito: comunque questo
giochino di non mantenere mai le minacce, è un giochino che non
funziona più.
«Ma non è un giochino. Non è colpa nostra la
deriva di Renzi. È lui che ora vuol abolire l’articolo 18, è lui
che insulta il sindacato... Vede, noi e i bersaniani, i dalemiani e i
cuperliani... tutti noi insieme manifestiamo un grande disagio e
quindi...».
Quindi, in caso di elezioni, darete vita a un nuovo
partito?
«Intanto, io potrei anche restarmene a casa. E poi,
no, chiedo: lei è sicuro che Renzi ci porterà a votare?».
Va
bene, okay: le segnalo che prima, sopra, all’ingresso, le hanno
chiesto se non teme di fare la fine di Morgan a «X Factor». La
faccenda del «resto nel partito o vado via» sta diventando
comica.
«Ha sentito però cosa ho risposto? Ho risposto che
Morgan, comunque, è uno piuttosto figo... Ah ah ah!».
Civati
la butta sul ridere. Massimo D’Alema è invece rimasto a casa («Non
ho intenzione di farmi minacciare da Renzi»). E a casa resta anche
Pier Luigi Bersani («Ho un tremendo mal di schiena»). Rosy Bindi ha
preferito andare a farsi intervistare negli studi di Sky.
Saggiamente, a metà mattina, Gianni Cuperlo propone di
«accantonare la parola scissione». Chiaro, netto. Passa Nico
Stumpo: un puma. Passa Francesco Boccia, si volta e fa: «La conta?
La conta non conta perché i numeri sono quelli». Una giovane
cronista rilegge gli appunti, alza la testa e chiede: «Ma che
significa?». I fotografi cercano Felice Casson (area Civati). «Nooo... Nun ce credo: davero nun è venuto? ».
Riappare Civati
(è una vecchia tecnica, quella di passeggiare nelle vicinanze della
sala stampa: c’è sempre una telecamera accesa, può sempre
scapparci un’altra intervistina). Però forse adesso è più
interessante ascoltare la capriola retorica di Alfredo D’Attorre.
«Basta nemici immaginari! Segretario... devi
ringraziarci!».
Dovreste vedere la faccia di Matteo Renzi.
Certe facce, il premier-segretario, sa farle benissimo. Adesso ha la
faccia di uno che pensa: ma questo dice sul serio o scherza? Da mesi
minacciano di spaccare il partito e ora mi chiede di ringraziarlo?
Non scherza Fassina. Anche lui si rivolge direttamente a Renzi: «Non
ti permetto più di fare la caricatura di chi la pensa diversamente
da te!». La voce gli va giù, come in un lieve tremore. Tutti
riconoscono a Fassina sincerità intellettuale e passione politica.
Ora appare tragicamente, teatralmente solo sul palco: così,
probabilmente mossi da simpatia personale, applaudono anche alcuni
renziani.
L’atmosfera è definibile serena.
Renzi ha un
mucchio di pensieri più seri (e infatti spedisce sms in
continuazione).
Poi si sente una voce piuttosto alterata.
Chi
è che urla? È Roberto Giachetti, guardia scelta del renzismo,
vicepresidente della Camera, deputato di grande esperienza e notevole
pragmatismo che, avendo studiato dai radicali, a volte si fissa con
le questioni di puro principio.
«No, dico: questi devono
smetterla! Capitooo? Chi fa più opposizione: Fassina o Romani di
Forza Italia? La Bindi o Brunetta? E basta, e non scocciate, e fateci
lavorare...»
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