Corriere della Sera 08/12/14
Maria Teresa Meli
A una decina di giorni dal Consiglio
europeo di Bruxelles in cui Matteo Renzi intende tornare a battere
sul tasto della flessibilità e della crescita, il presidente del
Consiglio preferisce non alimentare una polemica diretta con Angela
Merkel. A Bruxelles il premier vuole anche sottolineare a Juncker che
il suo «piano» è sì un «passo avanti», ma non è ancora
«sufficiente»: «È al di sotto delle nostre aspettative».
E
dato che queste sono le sue intenzioni, meglio evitare lo scontro
diretto con la potente Germania. Anche se è chiaro che Renzi ha mal
digerito le parole di Merkel al Die Welt . «Io chiedo e pretendo
rispetto per l’Italia — si è sfogato con i fedelissimi — anche
perché ho sempre rispettato gli altri. Del resto, anche la Germania
ha i suoi problemi, tant’è vero che l’Europa l’ha già
invitata con specifiche raccomandazioni a ridurre i propri squilibri
macroeconomici. E poi dovrebbero ricordare che se non ci fosse stata
la flessibilità la prima a saltare sarebbe stata la Germania
dell’unificazione».
Comunque, niente polemiche ufficiali in
prima persona. Perciò la replica viene affidata dal premier al
sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, che in
un’intervista al Tg1 invita la Cancelliera a guardare in casa
propria prima di dare lezioni agli altri. «Qui — osserva il
rappresentante del governo — non c’è nessuno che dà compiti e
nessuno che li esegue. Piuttosto, l’eccesso di surplus della
Germania crea problemi che frenano gli altri Paesi. Ognuno metta
ordine a casa propria prima di giudicare. Quanto alla nostra crescita
è timida per i vincoli di austerità». Qualche ora prima c’era
stata anche la replica del sottosegretario agli Affari europei Sandro
Gozi: «Non sta ai capi di governo interpretare le opinioni della
Commissione europea. Il governo italiano non si è mai permesso di
dare pagelle su un Paese membro dell’Unione e chiediamo lo stesso
rispetto. I tempi e la logica sbagliata dei “compiti a casa” sono
dietro di noi».
Già, perché è questo un altro aspetto delle
dichiarazioni di Merkel che Renzi ha mal sopportato: «Non siamo
degli scolaretti a cui bisogna sempre impartire lezioni», ha
sottolineato ai collaboratori e quindi ha aggiunto: «Bisogna che
tutti capiscano che a questo punto l’unica vera priorità è quella
di cambiare la politica economica europea. La questione della
crescita è un punto fondamentale su cui non insistiamo solo noi,
come si è visto al G20 in Australia. Se ci dobbiamo attenere solo
alla rigidità dei numeri e delle regole, allora tanto vale che
smettiamo di fare politica e lasciamo l’Europa in mano ai
tecnocrati».
Ma Renzi sa anche che «per chiedere flessibilità
bisogna essere credibili». E perciò occorre accelerare al massimo
sui decreti attuativi del Jobs act. Il primo, quello sulle tutele
crescenti, il governo intende vararlo entro pochi giorni, sperando
che il Parlamento sia poi altrettanto veloce nel licenziarlo, dando
il suo parere, in modo che possa entrare già in vigore dal primo
gennaio. Poi si andrà avanti con gli altri.
Ma ci sono due
punti sui quali il presidente del Consiglio è d’accordo con la
Germania, o meglio, con le richieste degli imprenditori tedeschi.
Ossia sulla necessità di accelerare al massimo i tempi della
giustizia civile e di smantellare la mastodontica burocrazia
italiana. Due ostacoli che rendono difficile alle imprese straniere
(ma pure a quelle italiane) lavorare nel nostro Paese. Questa è, e
non da ora, anche la convinzione di Matteo Renzi.
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