Corriere della Sera 10/12/14
Massimo Gaggi
Il coraggio di riconoscere i propri
errori, fare ammenda, correggere la rotta, è stato un elemento di
forza della democrazia americana. La pubblicazione del rapporto del
Senato sulle torture della Cia, dai contenuti devastanti e dolorosi,
dovrebbe quindi essere «un nuovo inizio» di un Paese sempre capace
di rigenerarsi.
Certo, la situazione internazionale è
incandescente e nell’immediato c’è il rischio di altri attentati
a strutture diplomatiche, militari e commerciali Usa nel mondo. E il
riconoscimento di aver usato in passato la tortura, sia pure in un
limitato numero di casi, lascerà ferite difficili da rimarginare nel
rapporto degli Stati Uniti con diversi Paesi, compresi alcuni
alleati.
Obama ha avuto il merito di troncare fin dal suo
insediamento, nel 2009, quelle pratiche illegali e il demerito di non
aver denunciato subito con veemenza gli errori fatti. Ma il tempo
trascorso può aiutarlo a gestire una crisi che minaccia di spaccare
ancor più il Paese, visto che i repubblicani si sono dissociati dal
rapporto del Senato (ancora per pochi giorni a guida democratica),
cercando di derubricare il documento della Commissione Intelligence a
livello di attacco politicamente motivato. Non è così: più ancora
delle parole di Obama, che si è deciso a condannare senza mezzi
termini quanto fatto nell’era Bush e a ribadire che l’America è
meno vulnerabile quando rispetta in pieno i suoi principi e i suoi
valori, a dare sostanza alla condanna dell’uso della tortura è la
stessa mole del lavoro della Commissione del Senato. La Cia reagisce
furiosamente alle accuse in un clima che può degenerare in una crisi
istituzionale, oltre che politica. Ma cinque anni non sono passati
invano: è un rapporto di 6700 pagine, 6 milioni di documenti
dell’«intelligence» passati al setaccio. Con la ricostruzione
precisa di episodi e circostanze nelle quali si è continuato ad
infierire anche dopo che gli agenti incaricati di interrogare usando
«pratiche non convenzionali» avevano denunciato la loro inefficacia
ai superiori.
I repubblicani continuano a difendere le pratiche
autorizzate da Bush, ma il loro esponente più autorevole, il
senatore McCain, a suo tempo torturato in Vietnam, prende le
distanze: «Sbagliato usare questi metodi disumani, e so per
esperienza personale che non funzionano». Un caso istituzionale che
avrà, comunque, anche conseguenze politiche: se Jeb Bush vorrà
candidarsi alla Casa Bianca da repubblicano moderato che piace ai
centristi, difficilmente potrà farlo senza condannare le scelte
fatte dodici anni fa da suo fratello.
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