Corriere della Sera 05/12/14
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Ogni volta che si parla di mafia e di
metodo mafioso, spuntano gli imprenditori vittime e quelli collusi.
Per l’organizzazione criminale i secondi sono più importanti dei
primi, e spesso i minacciati finiscono per diventare complici. È
successo con la mafia e con la ‘ndrangheta, in Sicilia, in Calabria
e altrove; ed è successo — sostiene l’accusa — anche con Mafia
Capitale. Ecco perché non è soltanto una storia di corruzione e
tangenti; ecco perché l’indagine della Procura di Roma rappresenta
una specie di sintesi (fatte le debite proporzioni) tra ciò che è
avvenuto a Milano con Mani pulite e a Palermo con il maxiprocesso che
ha svelato la Cupola di Cosa nostra.
Il sodalizio mafioso
Il
sistema romano lo descrive Massimo Carminati, presunto capo del
presunto «sodalizio mafioso», nell’ormai famoso discorso sul
«mondo di mezzo» intercettato dai carabinieri del Ros. Quando l’ex
estremista nero spiega: «Io ti fornisco l’azienda, quella bona ...
perché lui sa, sta’ a costrui’... serve il movimento terra». E
prosegue: «Guarda che noi c’abbiamo delle aziende pure di
costruzioni... a chi t’appoggi?... Noi dovemo fa’
costruzioni».
Nella ricostruzione degli inquirenti queste
parole sono collegate al ruolo di un imprenditore divenuto «colluso»,
Cristiano Guarnera, accusato di essersi messo «a disposizione nel
settore dell’edilizia per la gestione degli appalti di opere e
servizi». In precedenza aveva chiesto «protezione», ma
successivamente «entrava nella schiera di affiliati su cui il
sodalizio poteva contare». Una «tipica modalità» adottata dai
gruppi mafiosi per acquisire «imprese economiche i cui gestori in
una prima fase si rivolgono all’associazione per chiedere aiuto e
successivamente ne entrano a far parte».
Guadagno coi soldi
suoi
Guarnera aveva proposto un business immobiliare nel quartiere
romano di Monteverde a Riccardo Brugia, «braccio destro» di
Carminati. Il quale svela, a proposito di un altro imprenditore per
la fornitura di servizi: « Voglio fa fa’ ‘na maniera che famo
guadagna’ lui con i soldi sua e noi guadagniamo con i soldi suoi
senza caccia’ una lira ». Dopodiché accade un incidente: Guarnera
non si presenta a un appuntamento fissato alle 9 del mattino, e
Carminati non la prende bene. Brugia avverte l’imprenditore: «Non
ti sei svegliato? Chicché, noi nun semo ... non siamo persone che tu
me poi risponde così... ». Guarnera cerca di scusarsi in ogni modo
con Carminati, ricevendo una lavata di testa che contribuisce a
impaurirlo (e anche questo viene considerato indizio di mafiosità:
il timore di vendette e ripercussioni basato sulla caratura criminale
degli interlocutori). Finché invia un sms mortificato: «Perdonami
per favore ho solo voi come amici», che ottiene una risposta
finalmente rassicurante: «Chicco stai tranquillo, ci sentiamo domani
con calma».
Due giorni dopo Guarnera riferisce che Carminati «è
stato in grado di una cosa che io in due anni non sono riuscito a
fare, lui in tre giorni è riuscito a sbloccarla!». Questo avviene
attraverso gli agganci nella piccola amministrazione, mentre altre
frasi di Carminati mostrano il suo modo di rapportarsi con le
imprese: «Ci si muove solo di guadagno compà ... altre cose non
interessano»; e ancora: «Dovemo fallo contento lui, ma più
contenti dovemo esse noi». Anche la crisi economica diventa
occasione di guadagno: «C’è l’imprenditore che non ha la
possibilità... di espandersi... allora... con i soldi tuoi lui si
espande e ti dà una piccola percentuale... che però... alla fine
... sono soldi capito?».
L’affare di Monteverde non andrà in
porto, altri sì; come l’utilizzo degli immobili di Guarnera per
fare fronte alla crisi degli alloggi: «Questi qua vengono affidati
dal Comune o dal ministero dell’Interno... Onestamente quando pigli
i soldi sono sicuri», spiega Carminati.
Come Provenzano
Un
modo d’agire e di pensare non molto dissimile da quelli che il
procuratore Pignatone e il suo aggiunto Prestipino, approdati a Roma
dopo una lunga esperienza in Sicilia e Calabria, hanno avuto modo di
conoscere attraverso le inchieste su mafia e ‘ndrangheta. Un
imprenditore lombardo che s’era rivolto a un clan della piana di
Gioia Tauro, confessò in una intercettazione: «Purtroppo quando c’è
bisogno... ci si rivolge anche a questa gente... questa gente però...
è molto difficile mandarli via».
Al pentito di Cosa nostra
Nino Giuffrè, invece, furono trovati «pizzini» di Provenzano con
l’indicazione delle imprese « addisposizione »; e lo stesso
Giuffrè spiegò: «Per Provenzano le imprese sono di vitale
importanza, non solo da un punto di vista economico. Ciò che gli
interessa è avere contatti con persone importanti. Gestire il
potere, cioè avere queste persone nelle mani, significa raggiungere
determinati obiettivi anche lontani, anche inimmaginabili, perché
ogni impresa ha le sue conoscenze, e sfruttando queste imprese e
conoscenze ha un potere nelle mani molto, ma molto
importante».
Sembra un altro modo di descrivere il «mondo di
mezzo» di Carminati; anche per questo, per l’ex «nero» e i suoi
presunti complici (imprenditori compresi), è arrivata l’accusa di
associazione mafiosa.
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