FEDERICO RAMPINI
La Repubblica 14 dicembre 2014
NEW YORK .
Il caso. Il compromesso sul Bilancio
per evitare la paralisi non piace alla senatrice nemica dei banchieri
“I disastri finanziari saranno pagati ancora una volta dai
cittadini” E cresce il movimento per lanciarla come candidata alla
Casa Bianca.
Sulle macerie di un disastro per Barack
Obama e i democratici, nasce la nuova stella della sinistra
americana. La senatrice Elizabeth Warren guida la rivolta
progressista contro il «cedimento ignobile a Wall Street». La
pietra dello scandalo è una legge bipartisan che indebolisce la
riforma dei mercati finanziari e riabilita la speculazione sui
derivati. La Warren che fu vicina a Occupy Wall Street non ci sta, e
più di metà del suo partito la segue. Ora tutti guardano a lei come
l’anti-Hillary Clinton, una potenziale candidata alla Casa Bianca
nel 2016. Perfino trecento collaboratori di Obama firmano un appello
“Warren for President”.
Tutto è accaduto nell’arco di pochi
giorni. Si avvicina la fine dell’anno e occorre approvare la legge
di bilancio federale, equivalente a una Finanziaria italiana. È un
iter complesso per i rapporti di forze: i repubblicani hanno la
maggioranza alla Camera, i democratici ancora per pochi giorni
controllano il Senato, ma da gennaio perderanno anche quello con
l’insediamento del nuovo Congresso eletto un mese fa. Con l’acqua
alla gola, Obama accetta il compromesso bipartisan. Compresa la norma
voluta dai banchieri. È un colpo a quella grande riforma della
finanza, che lo stesso Obama portò a casa nel 2010 quando ancora i
democratici avevano la maggioranza al Congresso. La legge Dodd-Frank
approvata allora, conteneva un dispositivo studiato per evitare il
ripetersi del disastro del 2008. La norma sui derivati, impone alle
banche che vogliano speculare su quei titoli ad alto rischio, di
farlo con apposite filiali scorporate dalla casa madre, e non più
tutelate dallo Stato. Si voleva voltare pagina rispetto all’epoca
in cui i banchieri affrontarono rischi spericolati sapendo che in
caso di crac li avrebbe salvati il contribuente. La riforma
Dodd-Frank non è mai piaciuta a Wall Street. Con la destra
vincitrice alle elezioni legislative di novembre, la lobby delle
banche è tornata alla carica. L’emendamento “salva-derivati”,
lo ha scritto un deputato repubblicano facendo letteralmente il
“copia-e-incolla” da una lettera della Citigroup, una delle più
grandi banche di Wall Street. Per Obama questo è un prezzo da
pagare, «anche se ci sono parti di questa legge che proprio non mi
piacciono». L’alternativa? È lo “shutdown”, un braccio di
ferro coi repubblicani che farebbe rimanere lo Stato senza fondi,
costretto a sospendere molti servizi pubblici. La vecchia guardia
democratica si è adeguata al realismo della Casa Bianca. Harry Reid,
ancora per pochi giorni presidente del Senato, è chiaro: «Questa
legge non mi piace, ma la politica è compromesso».
La Warren si è ribellata. Mentre
ancora la legge di bilancio era in votazione alla Camera (e lei è
una senatrice), la Warren ha convocato una conferenza stampa che ha
scatenato la rivolta della base: «Per chi lavora il Congresso? È al
servizio dei miliardari, delle mega-aziende con i loro eserciti di
lobbisti e di avvocati? Oppure lavora per tutti i cittadini
americani? Approvare questa legge significa garantire che i prossimi
disastri di Wall Street saranno pagati ancora una volta dai
contribuenti». La dichiarazione di guerra della Warren ha colto
impreparato lo stato maggiore del suo partito. Soprattutto al Senato,
vige una disciplina gerarchica e il rispetto dell’anzianità. La
Warren ha 65 anni ma in politica è una novellina. Fu eletta solo due
anni fa, sia pure al termine di un’odissea che l’aveva già resa
celebre. Collaboratrice di Ted Kennedy, docente di diritto
fallimentare a Harvard, lei era stata la vera artefice della nuova
authority per la tutela del risparmiatore, nata in seguito alla crisi
del 2008. Poi però Obama non aveva potuto nominarla al vertice di
quell’authority per l’opposizione della destra e di Wall Street.
La Warren si lanciò in politica, riconquistando dai repubblicani
quel seggio senatoriale del Massachusetts che era stato di Ted
Kennedy fino alla morte.
La votazione sul bilancio si è chiusa,
alla Camera, con una débacle dei democratici. Il partito si è
spaccato. I moderati hanno seguito le direttive della Casa Bianca, in
57 hanno votato con la destra. Molto più numerosi sono quelli che
hanno seguito la “ribelle” Warren: 139 no. Perfino la capogruppo
democratica alla Camera, la californiana Nancy Pelosi che era una
fedelissima di Obama, ha voltato le spalle al suo presidente per
seguire la Warren. Ora la battaglia si è spostata al Senato. Pochi
pensano che la Warren la spunterà. Ma intanto il movimento per la
sua candidatura presidenziale sconvolge tutti gli scenari. MoveOn,
l’organizzazione che mobilita molti elettori di sinistra, ha
lanciato la raccolta fondi per la “campagna Warren”. La senatrice
del Massachusetts ha sempre escluso ambizioni presidenziali. Ma da
ieri sulla strada della Clinton c’è un ostacolo imprevisto. Tanto
più che Hillary e suo marito Bill sono accusati di essere troppo
vicini a Wall Street: un loro amico è Jamie Dimon, il chief
executive di JP Morgan le cui telefonate ai parlamentari giovedì
sera sono state denunciate vigorosamente dalla sinistra democratica.
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