Corriere della Sera 08/12/14
Franco Morganti
Lo sport preferito è ormai dare a
Renzi tutta la colpa della situazione in cui ci troviamo. Finché lo
fanno avversari come Lega, M5S, Forza Italia (con l’eccezione
dell’alleato Berlusconi), è normale. Quando contro di lui si
adoperano D’Alema, Bersani, Bindi, Cuperlo, Fassina, Civati, la
spiegazione sta nel classico cupio dissolvi della sinistra italiana,
che riuscì ad affossare persino il proprio candidato di prestigio,
Romano Prodi, al Quirinale.
A questi si sono uniti i sindacati,
che rappresentano solo pensionati, dipendenti pubblici e a tempo
indeterminato. Ce l’hanno con la legge elettorale, dimenticando che
siamo vissuti 9 anni con un obbrobrio come il Porcellum, definito
«una porcata» dal suo stesso inventore, Calderoli. Ce l’hanno con
l’abolizione dell’articolo 18, che ha annullato per 44 anni la
velleità delle piccole imprese di licenziare fannulloni e
assenteisti cronici, due categorie non riconosciute come giuste
cause. Ce l’hanno col debito pubblico, nato quando si è cominciato
a dare la pensione a chi non aveva versato una lira di contributi,
come gli agricoltori degli Anni 50 o quando si sono mandati in
pensione i dipendenti pubblici con 19 anni di contributi, indebitando
lo Stato per i 40 successivi. Ce l’hanno con la lotta alle
burocrazie, quando Sabino Cassese ci ha spiegato da queste colonne
che ogni legge richiede un laborioso iter di decreti delegati e
regolamenti applicativi in cui i burosauri esercitano tutta la loro
malizia sotto la pressione degli interessi di categoria.
In
Francia un decreto presentato dal governo, se non approvato entro 30
giorni, diventa legge. Da noi decade. È colpa di Renzi se metà dei
decreti varati da Monti attendono ancora di entrare in vigore? Ce
l’hanno con la riforma del Senato, che manderebbe in Parlamento i
corrotti di Regioni e Comuni (scelti da Renzi per masochismo), quando
questi avrebbero dovuto esser sanzionati ben prima dalla magistratura
(tutti sono però contro il bicameralismo perfetto). So che sarebbe
facile difendere il voto delle minoranze per spirito democratico e
per l’apologia del «politicamente corretto». Ma è di questo che
ha bisogno il nostro Paese (non ho detto «questo Paese»)?
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