Corriere della Sera 28/12/14
Fabrizio Dragosei
Le banche sono le prime vittime della
gravissima crisi che ha investito la Russia a seguito del crollo del
prezzo del petrolio e delle sanzioni occidentali. Per tre istituti il
governo ha già deciso interventi immediati per circa sette miliardi
di dollari, visto che la situazione stava precipitando.
È
l’intero settore creditizio ad avere bisogno urgentemente di
ossigeno visto che la gente corre a ritirare i depositi e le banche
non possono rifinanziarsi all’estero. Così il Parlamento ha
approvato una norma che autorizza il governo a utilizzare il 10% del
fondo strategico (qualcosa come 30-40 miliardi di dollari) per
aiuti.
Ma in Russia, si sa, chi dà una mano quasi mai lo fa
gratis. Adesso gli esperti si aspettano anche una ridistribuzione
degli asset bancari: la Bank Trust, la prima ad essere «aiutata»
con 2,4 miliardi di dollari, verrà assorbita da un’altra
istituzione, la Otkritie Corporation, chiamata dallo Stato a
intervenire. La Otkritie, che ha numerosi proprietari non molto
conosciuti, sembra avere ottimi rapporti con i vertici: ha già
«risanato» per conto dello Stato altre cinque banche.
Gli
altri due istituti che avevano bisogno di sostegno immediato sono la
Vtb, che dovrebbe ricevere circa 4 miliardi di dollari e la
Gazprombank, controllata dal colosso del gas, alla quale andranno
altri 1,3 miliardi.
Ma in difficoltà sono tutti, a cominciare
dalle grandi aziende che, secondo l’Unione Industriali, sono
indebitate all’estero per 700 miliardi di dollari. La Rosneft,
azienda petrolifera di Stato controllata da Igor Sechin vicinissimo a
Putin, deve restituire da sola 40 miliardi di dollari e non può
rifinanziarsi sui mercati internazionali. Nei giorni scorsi era alle
strette e ha fatto ricorso a bond interni in rubli per oltre 11
miliardi di dollari. L’operazione ha scatenato il panico, facendo
precipitare la moneta nazionale fino a 80 rubli per un dollaro e 100
per un euro. Il cambio si è poi ripreso, ma solo grazie a interventi
della banca centrale e al fatto che il Cremlino ha poi obbligato le
grandi aziende (che in teoria sarebbero private e indipendenti, visto
che in taluni casi sono pure quotate sui mercati esteri) a dare via
gli euro e i dollari in loro possesso. Così si è arrivati a fine
settimana a un cambio di 54 con il dollaro.
Ma le prospettive
sono nere. Già ai primi di dicembre il ministero dell’Economia ha
dovuto rivedere le stime per il prossimo anno, parlando di una
riduzione del prodotto interno dello 0,2 per cento. Due giorni fa è
arrivato un aggiornamento: la Russia decrescerà del 4 per cento. Ma
gli esperti si aspettano una contrazione dell’economia anche
peggiore, visto che il petrolio continuerà a essere venduto a poco
(e l’Arabia Saudita ha detto che è pronta a tirare avanti a lungo
con bassi prezzi). C’è il fondo per le emergenze, ma non è
infinito. E con l’inflazione in salita saranno presto i conti delle
famiglie a non tornare più.
Certo, le cose sarebbero diverse se
si riuscisse a raggiungere un’intesa sulla crisi Ucraina e
l’Occidente revocasse le sanzioni. Un segnale positivo c’è stato
in questi giorni con uno scambio massiccio di prigionieri tra le
truppe regolari e i ribelli. A Kiev sono stati accolti come eroi dal
presidente Poroshenko 154 soldati liberati, mentre i ribelli hanno
accusato il governo ucraino di aver torturato e trattato male molti
dei 222 miliziani rilasciati.
Nel frattempo, però, le
trattative di pace a Minsk sono sospese, mentre il governo ucraino ha
bloccato provvisoriamente il transito verso la Crimea annessa dalla
Russia. E Putin ha approvato una nuova dottrina militare nella quale
l’allargamento della Nato viene visto come una minaccia
fondamentale per la sicurezza del Paese.
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