FRANCESCO MERLO
La Repubblica 4/12/14
Che faceva prima?, chiedo al “raccogli
foglie” in tuta arancione. «Il ladro». E quanto tempo è stato in
galera? «Ahò, io so’ Pelosi, quello de Pasolini », risponde
l’operaio-giardiniere “evaso” da un’altra Roma, capelli a
spazzola, l’aria da futuro dietro le spalle.
«So’ stato vent’anni in galera, in
manicomio e anche in casa custodia, ma ancora mafioso non me l’aveva
detto nessuno».
Ex detenuti, disabili, sbandati, i
dipendenti della Cooperativa 29 giugno non sono abituati a ricevere
le visite dei giornalisti e tuttavia non si nascondono per timidezza,
ma perché si sentono umiliati. «Ci hanno arrestato presidente e
vicepresidente. Pare che anche le segretarie in ufficio siano
indagate. Io guadagno 920 euro al mese per pulire i giardini. Adesso
che succederà? Gli italiani pensano che questo è un covo della
mafia. Dobbiamo tornare a delinquere?». La signora che si è appena
sfogata ci sta cacciando sullo stradone di periferia, fuori dai
cancelli della Cooperativa, un complesso di prefabbricati bassi
circondato da un muro di cemento: peggio di una caserma, meglio di
una galera. Indossa un tailleur blu e un cappotto rosso e sembra
sconvolta dall’emozione. «Di solito — ci dice Pelosi — quella
è tutta un sorriso».
Anche Ignazio Marino in Campidoglio è
sconvolto e si nasconde, ma per prudenza politica: «Sta ancora
studiando le carte». Tutti qui studiano le carte ma già pensando
alle altre carte, quelle del secondo tempo annunciato dal procuratore
Pignatone: indizi di pena, ma anche mappa dell’aporia e molliche di
difesa. «Ci sono ancora una ventina di nomi che devono saltare
fuori», spiega l’ex capogruppo del Pd Francesco D’Ausilio. E
aggiunge che «potrebbe toccare a chiunque. È come una roulette
capricciosa. Chi può sapere cosa ha millantato al telefono quel
Buzzi parlando col suo capo? Buzzi me lo ricordo, sempre presente a
tutte le sedute del consiglio comunale. L’altro invece, il fascista
mafioso, Carminati, quello non l’ho visto mai».
Oggi i politici romani vivono dunque
nel presagio. Alle 16,43 le agenzie battono la notizia che un uomo è
stato gambizzato in strada nel quartiere San Lorenzo. Non c’entra
nulla, ma tutti vorrebbero sapere il nome perché anche nei saloni
più solenni d’Italia l’atmosfera è carica di ioni negativi,
quelli della suburra. «È come un film dell’orrore», mormora Luca
Galloni il capo della segreteria di Mirko Coratti, il presidente
dell’Assemblea capitolina che si è dimesso quando ha saputo di
essere indagato. Giovane e tormentato, Galloni dice: «Buzzi a me
neppure mi salutava. E l’altro, Carminati, è di quelli che io,
solo per la faccia che ha, non l’avrei mai incontrato».
E Marino in clausura cosa cerca in
quelle carte? Al terzo piano del Campidoglio lo chiedo a uno che gli
è molto vicino ma non vuol comparire e neppure vuol farsi vedere
insieme a noi: «Le avete lette voi? Ci sono così tanti omissis! Per
tutti noi gli omissis sono come le sciarade della Settimana
Enigmistica. C’è la possibilità, risolvendoli, di uscire dannato
o, al contrario, risorto». Saliamo perciò una scala stretta che
conduce, per così dire, dietro le quinte. È un po’ come
ritrovarsi in un teatro. A ogni angolo, però, c’è qualcuno che ci
controlla. Chiedo a una gentile signora bionda: «Ma in quanti siete
nello staff del sindaco, e come mai state sempre in giro appresso a
me?».
Adesso siamo noi che, in cima alla
scaletta, mostriamo un foglio, firmato da Ignazio Marino, «il
candidato», con l’elenco dei suoi finanziatori e l’ammontare dei
finanziamenti. Ebbene, anche la campagna di Marino fu sovvenzionata,
30mila euro, dalle cooperative sociali guidate appunto da Buzzi,
quello che comprava appalti, l’ex detenuto per omicidio diventato
presidente della cooperativa di ex dannati della terra in via Pomona,
lo stradone dove avevamo lasciato Pelosi che gli altri operai
chiamano, per rispetto al rango, «il signor Pino». Pelosi vuol
mettersi in proprio e propone anche lui una cooperativa, con
biglietto da visita, numero di telefono e logo libertario.
In via delle Vergini nella stanza 303
al terzo piano del palazzo dei gruppi consiliari, tutti si muovono
dentro il labirinto del minotauro Pignatone. A chi toccherà? Il
risultato è che anche qui si nascondono, ma solo perché stanno in
un’altra “terra di mezzo”, dove si incontrano ladri e derubati,
morti e morituri.
Almeno Marino, in Campidoglio, si fa
proteggere dai vigili urbani che piantonano la sua porta
continuamente attraversata da uscieri affaccendati. Riusciamo a
bloccare un vigile che è una specie di Maciste: «Ci hanno detto di
stare attenti perché qui girano giornalisti camuffati», dice a noi
che camuffati non siamo.
Non si nasconde invece — almeno non
subito — il nuovo amministratore delegato dell’Ama che è la
società carrozzone che non riesce a pulire Roma. Si chiama Daniele
Fortini. Parente del poeta? «No, ahimè, solo cugino di quel matto
che per strada disturba le tv». Paolini? «No, diciamo il suo
successore, che almeno non è molesto, Mauro Fortini. Lui è il matto
della tv, io il matto dell’Ama». E ci dà un po’ di numeri:
«7.340 dipendenti, 830 milioni di fatturato, serve tre milioni di
abitanti, ha appalti e forniture per 250 milioni l’anno, 650
milioni di debiti con le banche, 1,8 milioni di tonnellate di rifiuti
gestiti, 5 autoparchi con 2.400 automezzi ». E ora descrive
benissimo il tumore del parastato dove allignano ancora i parassiti,
« il mondo parallelo della parentopoli dove Alemanno collocava i
suoi». E dove, ammette, «l’ex amministratore delegato ora
arrestato, Franco Panzironi, ha ancora i terminali funzionanti». Qui
c’è una certa idea di Roma, perché dalle finestre vedi pure il
Terminillo ma dentro tutto è triste, è il mondo del travet
crocifisso in sala mensa: tetti bassi, speranze strette e luci al
neon, non i labirinti di Buzzati che era del Nord e neppure
l’ambientazione di Paolo Villaggio, ma la Roma piccola piccola di
Cerami, con il il bubbone però della “Mafia Capitale”, che è
una formula a cavallo tra esercitazione di stile e tragedia sociale.
Anche i soprannomi sono a cavallo tra la malavita e Dagospia, un po’
Totò u curtu e un po’ la Santadeché. Fortini, che da giovane era
funzionario berlingueriano del Pci e ha una moglie sindacalista della
Fiom, ammette che dentro l’Ama suonano più tribali che mafiosi er
Cecato , er Guercio , er Maialetto , il re di Roma, il Nero, er
Pirata, er Cane, il Tanca , er Caccola , Cicorione , Rommel ,
Forfora, er Miliardario. Fortini guadagna «79mila euro lordi
l’anno», contro i 545mila del suo predecessore Panzironi, meno
degli stipendi concessi ai camerati che Alemanno assunse come quadri.
Se l’aspettava? «Sapevo di star
seduto su una bomba». E non poteva fare qualcosa, intervenire prima?
È la domanda che gli fa anche Natale Di Cola, giovane segretario
della Cgil (funzione pubblica) che ci racconta di avere portato lì
anche Camusso «l’11 novembre 2013, ma Fortini ha lasciato tutti
gli uomini di prima, forse avrebbe potuto fare di più, sicuramente
deve ancora fare il più». Fortini, che è di Orbetello, («ne sono
stato il sindaco comunista») ha un bel piano industriale e viene
dall’azienda municipalizzata di Napoli, «poi mi chiamò Marino e
la chiamata è stata irresistibile». Differenze con Napoli? «Sì.
Lì ho incontrato la camorra e qui ho incontrato la politica. E non
sto certo dicendo che sono uguali che sarebbe una corbelleria, ma dal
consigliere municipale al deputato tutti si sentono autorizzati a
dire ad Ama cosa deve fare». Fortini ha l’aria di un bel manager
che non ha paura dell’assedio ma dal Campidoglio qualcuno lo chiama
e alla fine, anche lui, vorrebbe essersi nascosto, cancellare o
rinviare l’intervista.
E voliamo nel quartiere San Lorenzo a
cercare la sede dell’Opera Nomadi, la più antica cooperativa
sociale a favore dei migranti. Ma il presidente, Massimo Converso, è
in Transilvania. Lo chiamiamo al telefono: «È terribile — dice —
che in Italia si diffonda l’idea che gli immigrati e i rifugiati
sono gestiti dalla mafia. Sono calabrese e combatto la mafia da tutta
la vita. È odioso quello che succede». Anche la cooperativa
Sorriso, gli dico, quella del palazzo assediato a Tor Sapienza, fa
capo al terribile Buzzi, l’elemosiniere della Mafia Capitale. E poi
c’è quell’Odevaine che riusciva a intervenire sul ministero e
aumentare il numero degli immigrati assegnati al Lazio. Povero
Converso, si sente anche lui assediato: «Mi viene quasi da
piangere». Abituati alla Roma falsaria, quella della Stangata con i
biglietti falsi del bus, adesso questa ci sembra Kobane, la città
curda sotto assedio. Soffia dal Campidoglio un’aria da Medio
Oriente e da sfascio tribale. Tutti attendono i nuovi avvisi di
garanzia come i bramini attendono i prescelti per le pire.
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